Umanidi e dove trovarli – capitolo 1

Cow-t 10. M7. SAFE.
Parole: 4420.
Prompt: Scambio di persona.
Fandom: Originale (collegata alla storia: Mi è sembrato di vedere un drago)

L’aria fredda fluiva potente attorno a lui creando una consistenza quasi solida sotto le sue ali. Nel suo stomaco si agitava quella sensazione di euforia che solo volare riusciva a suscitare in lui. Kalruk lanciò un potente ruggito attraversando il cielo come una cometa arancione. Altri draghi in lontananza ripresero l’urlo finoa farlo risuonare intorno a tutta l’isola.
Era una giornata meravigliosa, di quelle in cui il cielo è così limpido che sembra quasi di scorgere dell’altra terra ferma lontano a occidente, ma nessun drago aveva mai avuto interesse per l’esplorazione e Kalruk non era da meno, inclinò leggermente le ali planando sul mare. I draghi erano creature territoriali, per natura e tutti i cuccioli imparavano da subito che il loro continente era diviso in branchi e come muoversi senza scatenare guerre territoriali.
C’erano i draghi delle creste rocciose, con una corazza così dura e pesante che i più anziani perdevano la capacità di volare. I velocissimi draghi delle pianure, decisamente più piccoli delle altre specie ma così veloci che non avevano rivali nelle corse. Alcune specie erano notturne ed erano caratterizzate da un manto scurissimo e una natura tranquilla, quasi pigra. Inoltre c’era una specie che viveva sotto terra, si vedevano raramente ed erano quasi del tutto ciechi ma nulla sfuggiva al loro udito finissimo. Kalruk però non apparteneva a nessuna di queste; non era più resistente o più veloce, non si mimetizzava nella notte e i suoi sensi non erano al di sopra della norma, i suoi artigli non erano così affilati da tagliare le scaglie e non vedeva di notte chiaramente quanto il giorno. Nonostante questo la sua specie era una delle più temute e rispettate, perché nessun altro drago su tutto il continente aveva una tale predisposizione per lo sputare fuoco. Erano draghi di media grandezza dai colori brillanti e vantavano un’attitudine particolare nello scegliere quali rocce mangiare per alimentare al meglio il loro fuoco.
Kalruk in particolare era considerato un genio al riguardo, era l’unico che fosse riuscito a sciogliere le squame di un drago delle creste con una fiammata, aveva stuoli di giovani draghi che lo ammiravano e nel momento in cui avrebbe deciso di scegliersi una compagna nessuno avrebbe osato sfidarlo.
La sua vita era semplicemente perfetta.
Pervaso da un senso di soddisfazione personale fino alla punta delle scaglie decise che quello era il pomeriggio ideale per concedersi un po’ di relax; il che si traduceva con l’acciambellarsi sulla sua sporgenza preferita. Si trattava di un solitario sperone di roccia sospeso sopra il mare e rivolto verso ovest: era il luogo ideale dove dormire un paio di giorni, la sua posizione gli permetteva di godere fino al tramonto dei pigri raggi solari senza però essere esposto ai forti venti provenienti da levante.
Fu allora che improvvisamente tutto iniziò ad andare storto.
Non poteva essere passata più di qualche ora quando una strana sensazione lo destò dal suo sonno profondo; era come uno strano bruciore alle scaglie. Ancora intorpidito dalla dormita si spostò sul terreno che non gli era mai sembrato irto come in quel momento; aprire le palpebre gli costò uno sforzo enorme, il sole si stava abbassando sull’orizzonte e nella luce che iniziava a diventare arancione il drago notò due strane protuberanze stese sull’erba davanti a lui. Si avvicinò cautamente per annusarle ma quelle si mossero all’improvviso e con terrore si rese conto che erano attaccate al suo corpo; e non finiva lì! Tutto il suo corpo era strano: le sue scaglie erano sparite e con loro la sua tonalità arancione infuocato, era rosa! Quella strana cosa che lo ricopriva bruciava da morire e presentava arrossature in alcuni punti.
Ma era sempre stata così grande quella sporgenza? Ci mise una vita a trascinarsi verso la parete rocciosa, con terrore si era reso conto che le sue ali erano sparite con le sue scaglie e continuava a perdere l’equilibrio perché non c’erano più tracce anche della sua coda. La parte successiva fu un po’ confusa. dopo essere sceso verso la spiaggia tramite uno stretto passaggio a ridosso della scogliera ebbe la spiacevole sorpresa di scoprire che il suo nuovo corpo non aveva la minima resistenza, arrivato sulla spiaggia coperta di ciottoli levigati dall’acqua ormai sanguinava in diversi punti.
Sanguinava! Lui che non aveva mai sanguinato in vita sua. Sapeva potesse succedere aveva visto altri draghi perdere quel liquido rosso, ma la cosa non lo aveva mai riguardato personalmente. Era grave? Cosa doveva fare? Aveva un vago ricordo di un drago che si leccava una ferita ed esitante avvicinò il suo nuovo muso piatto ad uno dei suoi arti inferiori. Fu terribile e disgustoso: della terra si era attaccata al suo corpo e aveva un pessimo sapore, inoltre quel collo cortissimo non gli permetteva di arrivare a tutti i tagli; aveva provato a usare l’acqua del mare per pulirsi ma aveva ottenuto un risultato che non riusciva a spiegarsi: i tagli erano diventati incredibilmente dolorosi all’improvviso ma per qualche strana ragione lo strano bruciore che lo pervadeva si era affievolito a contatto con le fresche onde.
Stanco provato adesso iniziava ad avere freddo, il vento soffiava sul suo corpo bagnato facendolo tremare e era restio ad attraversare la spiaggia sassosa per non sporcare le sue ferite appena pulite. C’era anche un’altra questione che lo rendeva cauto nei movimenti: una certa componente del suo corpo molto delicata, che nella sua forma originale era giustamente ritratta al sicuro all’interno del suo corpo se non in uso, al momento era completamente esposta e la cosa lo rendeva nervoso.
Si era quasi risolto a tentare la fortuna con la spiaggia quando un potente spostamento d’aria lo mandò poco cerimoniosamente a gambe all’aria nell’acqua bassa. A pochi metri da lui un gigantesco drago dorato era atterrato e ora lo squadrava acquattato.
La mia specie, tra le altre cose, era anche dotata di una vista particolarmente acuta, ma non serviva per notare il ghigno sulla faccia di Minras, le ciglia leggermente arcuate e i denti scoperti agli angoli lasciavano pochi dubbi.
La sua voce quasi lo tramortì risuonando gli in testa.
“Tu puzzi come Kalruk, eppure non gli assomigli, cosa sto guardando?”
“Sono io Minras! Mi è successo qualcosa!” con uno sforzo enorme finalmente riuscì ad acquistare una qualche specie di equilibrio sulle quattro zampe. Minras osservò i miei sforzi con interesse.
“Non credevo che muovere quei corpi fosse così complicato”
I sassi gli graffiavano la pelle molliccia di cui era coperto, se di pelle si trattava, ricordava vagamente di aver visto disegni che ricordavano il suo aspetto nella valle degli anziani. L’illuminazione lo colpì con la delicatezza di macigno nei denti.
“Gli Anziani! Mi devi portare dagli anziani Minras!” preso dalla foga le mie parole avevano un tono imperioso che non sfuggì al drago dorato. Tirò indietro le labbra scoprendo le zanne.
“Tu non puoi darmi ordini Kalruk”
Una strana sensazione si agitava in fondo al suo stomaco. Sul tutto il corpo si stava formando una strana patina umidiccia, sembrava acqua ma era più appiccicosa. Non gli era mai capitato nulla di simile.
Minras non gli era mai sembrato così pericoloso, eppure si erano azzuffati moltissime volte.
“Ti aiuterò ma quando tornerai drago risponderai di questo sgarbo. Non ci sarebbe onore nell’ucciderti mentre sei in queste condizioni penose”
Un’altra folata potente lo rovesciò su un lato.
Era senza forze.
Registrò a mala pena gli artigli che si chiudevano intorno al suo busto prima di scivolare nell’oblio.
°°°°°
A svegliarlo fu il rumore. Un gruppo di draghi riuniti insieme fa un chiasso peculiare, come un coro interminabile di ruggiti. Gli sarebbe dovuto essere familiare ma mai come in quel momento gli era sembrato assordante.
Aprì gli occhi e improvvisamente anche la sensazione di bruciore persistente.
La buona notizia era che si trovava nel Nido di Scaglie, il luogo che era dimora del consiglio degli anziani. Era un’immensa valle circondata da cinque creste rocciose: abitualmente i draghi si riunivano prendendo posto sui pendii coperti da rada vegetazione, sotto il verde scolorito si riuscivano ancora ad intravedere i colori originali. Poiché le creste altro non erano che i corpi dei cinque draghi ancestrali: gli anziani, gli unici draghi ancora in vita dalla grande migrazione, quando per la prima volta i draghi erano arrivati in quelle terre.
“Kalruk” la voce di Umbaroth proveniva dal corpo ornato da riflessi blu come le acque profonde “Se sei veramente tu all’interno di quel corpo rispondi al consiglio”
“Venerabile Umbaroth” davanti al possente drago la sua stridula vocina gli sembrava ancora più insignificante “Sono io, Kalruk, non so cosa è accaduto al mio corpo”
“Racconta cosa ricordi” la voce quieta di Bemarth, il grande drago perla, gli donò un po’ di tranquillità.
“Riposavo e quando mi sono risvegliato non ero più io, non capisco cosa sono diventato”
I grandi draghi tacquero e insieme a loro anche gli altri presenti.
“Questo è l’aspetto che hanno gli umanidi” disse Zendyrth, il drago color acquamarina “Il ricordo è chiaro nella mia mente come se avessero lasciato ieri le nostre terre”
“Gli umanidi? Credevo fossero una leggenda!” urlò qualcuno.
“Non è possibile” urlò qualcun’altro.
“Silenzio!” tuonò Teyriadonth, il più antico e rispettato drago vivente, la vegetazione aveva talmente preso il sopravvento su di lui che nessuno ricordava più il colore delle sue scaglie, da secoli parlava sempre più di rado e tutti sapevano che un giorno avrebbe semplicemente smesso di rispondere.
Effetto sull’assemblea fu immediato, le urla e i ruggiti si spensero e tutti guardarono la montagna rivolta a ovest con aspettativa.
“Secoli fa gli umanidi abitavano queste terre, erano una razza primitiva e impressionabile che fuggiva davanti a noi. Vivevamo in pace, ignorandoci a vicenda ma sono una razza che progredisce in fretta e ben presto abbandonarono le loro tane di fango per nidi di legno e infine iniziarono a costruire delle caverne di pietra squadrate, raggruppate tutte insieme. Sono sempre stati una razza che tende a vivere in gruppo. Fu dopo quest’era che iniziarono i conflitti; all’inizio non li prendemmo sul serio: si trattava di impacciati attacchi a draghi isolati che si concludevano prima di iniziare; ma ben presto iniziarono a costruire attrezzi più grandi ed efficaci. Infine accadde la tragedia: un umanide chiamato Tibaut Mallkin condusse all’attacco un gruppo di suoi simili e uccisero un giovane drago addormentato vicino ad un fiume. La collera del suo branco fu devastante, distrussero tutto sul loro cammino e sembravano intenzionati a sterminare l’intera razza. Solo allora un capo branco degli uomini venne da me, Ansure Randoul era il suo nome. Disse che la sua razza aveva sbagliato e che se avessimo avuto pietà avrebbe condotto via da queste terre ciò che rimaneva della sua gente. Vidi la sincerità nei suoi occhi e acconsentii con un unica condizione, il dolore che gli umani ci avevano arrecato era tale che non volevamo rischiare interazioni future.” Era una storia familiare, veniva raccontata ad ogni cucciolo nel nido come ammonimento.
“Non so come ci siano riusciti, ma possono essere stati solo loro a farti questo” disse Bemarth “Avverto la traccia della magia umanide in te”
“Magia?” chiese Kalruk, aveva già sentito quel termine da piccolo ma non riusciva a ricordarne il significato.
“Dopo la morte del giovane drago abbiamo scoperto per quale ragione gli umanidi avevano iniziato ad attaccarci” spiegò Zendyrth “Sono da sempre stati affascinati da quella che chiamano magia; si tratta di un’arte per manipolare la realtà…”
“Nessuno dovrebbe giocare con forze simili!” lo interruppe bruscamente Umbaroth.
“Mi spiace riportare alla luce questa antica ferita” gli disse Bemarth “Ma ora Kalruk ha bisogno della nostra guida”
“Il drago ucciso era un cucciolo di Umbaroth” spiegò Morseir “Rispettate il suo dolore”
Un coro assordante di lamenti si alzò dalla folla per la perdita del drago blu che rispose a sua volta con un grugnito di dolore. Era un suono straziante che lacerò qualcosa nel profondo del petto di Kalruk, si accasciò in terra con del liquido che gli colava sul viso, non aveva mai provato nulla di così terribile.
“Quegli essere infidi volevano il suo sangue!” disse Umbaroth “Poiché questa magia che tanto agognano è potente in noi, lo hanno ucciso per compiere un incantesimo e accrescere il loro poteri, avremmo dovuto sterminarli!”
“Umbaroth!” lo bloccò Teyriadonth “Ne abbiamo già parlato, non possiamo condannare una razza per le azioni di pochi, sterminare gli umani non riporterà indietro Diadrog, lì dove sono ora non faranno male ad altri draghi e i colpevoli sono già morti da così tanto tempo che le loro ossa sono diventate polvere”
“Ne sono consapevole, ma se mai gli umanidi dovessero tornare su queste sponde non ci sarà nulla a impedirmi di scrollarmi di dosso questa montagna e ucciderli”
La voce Teyriadonth rispose diuovo con quel tono lontano di chi è person nei ricordi: “Sai bene che ciò non è possibile, gli umani non metteranno mai piede qui, me ne sono assicurato personalmente. Sebbene gli umani lasciarono la nostra isola dirigendosi sul continente non bastava e feci una richiesta ad Ansure, lanostra magia è sempre stata innata e noi draghi non siamo fatti per lo studio. In compenso gli umani tendono a fare di tutto una scienza, magia inclusa; così I loro stregoni misero appunto un’incantesimo che ci permettesse d’incanalare la nostra energia e separare I nostri mondi. Con il nostro fuoco bruciammo il tessuto della realtà strappando la nostra isola da quel mondo corrotto e da allora viviamo in questo ritaglio dimensionale dove nessuno ci attaccherà mai più.”
“Rimane il dubbio su cosa fare di Kalruk” sottolineò Bemarth “Se la magia ha causato il problema la magia sarà la soluzione, anche se l’idea non mi piace per nulla.”
Il cervello di Kalruk minacciava di scoppiare sotto il peso di quelle infirmazioni, l’ultima affermazione in particolare gli sfuggiva. “Venerabile Bemarth, cosa state suggerendo?”
“Ho idea che tu abbia già intuito la soluzione, quanto ti è accaduto è la conferma che gli umanidi sono ancora in vita al di là del mare. Pertanto la soluzione può essere solo recarsi nella terra degli uomini a cercare chi ti ha fatto questo. La vita degli umani è breve e fragile, potrebbe essere svanita in loro anche la consapevolezza della nostra esistenza.”
“Ma allora perché quest’incantesimo?”
“Le circostanze indicano che sia un errore” disse Zendyrth “Se fosse stato un attacco intenzionale sarebbe seguita un’invasione, ma così non è, il venerando Teyriadonth ha ragione a dire che la tua unica speranaza è recarti nelle loro terre. Se effettivamente gli umani avessero trovato il modo di viaggiare tra I mondi sarebbero già stati qui.”
Kalruk si accasciò al suolo, era semplicemente troppo, per lui. Era stato rinchiuso in quel corpo insulso a tradimento e ora gli dicevano che non solo si trattava di un errore ma anche che nessuno poteva aiutarlo se non gli umanidi stessi.
“Non ti scoraggiare Kalruk” la voce dolce di Bemarth lo raggiunse in fondo alla sua disperazione “Nessuno ti costringerà ad andare, ma l’alternativa è vivere con quelle sembianze senza sapere se un giorno l’incantesimo si esaurirà” la platea trattenne rumorosamente il respiro.
Kalruk guardò i palmi delle sue zampe, erano pieni di graffi più o meno profondi e ornati da dei ridicoli artigli spuntati, inoltre aveva cinque dita; che cosa stupida, quattro erano più che sufficienti, cinque era un’esagerazione. Il racconto degli anziani aveva dimostrato che gli umani erano sciocchi e avidi, ma anche che alcuni di loro erano nobili d’animo: pronti a pagare il prezzo dell’errore di qualcun’altro.
“Andrò” disse semplicemente. La sua nuova voce era flebile e stridula ma l’udito eccezionale dei draghi fece il resto. La valle si riempì di ruggiti.
“Uno dei tuoi fratelli sarà designato per accompagnarti oltre I confini di questo mondo,” ruggì Umbaroth sopra il frastuono “Che un volontario si faccia avanti”
I draghi esitarono ma una voce cristallina sentenziò: “Lo accompagnerò io” era una femmina delle pianure, dalla corporatura minuta come tutti i suoi simili e le scaglie di un infuocato rosso brillante. Era Neghiarth, della stirpe di Teyriadonth.
“Sono la più veloce del mio clan e ho affrontato le prove di resistenza per l’accesso all’età adulta” volò vicino a Kalruk con grazia e determinazione “Non vi deluderò” puntò i suoi occhi gialli su Kalruk e lui non vi lesse neanche un’ombra di esitazione.
“Se sei decisa il consiglio accetta di affidarti Kalruk, Neghiarth, ma a due condizioni che riprendi il volo subito dopo averlo lasciato, non possiamo rischiare la vita di un altro giovane drago, assicurati di lasciarlo vicino ad un insediamento umano ma non metterti in pericolo. Allo stesso modo non possiamo abbandonare Kalruk completamente solo in una dimensione sconosciuta. Trova un piccolo gruppo di umani e affidalo loro, ma prendi uno di loro in cambio, che rimanga qui finché Kalruk non farà ritorno,” il tono di Teyriadonth era velato di preoccupazione, anche a distanza di molti inverni era ancora vicino ai suoi discendenti “Adesso andate, che la benedizione del consiglio sia con voi!”
Neghiarth si avvicinò a Kalruk che alzò quelle sottili appendici che avevano rimpiazzato le sue ali, il volo con Minras gli aveva insegnato che era scomodo averle bloccate contro il corpo, la draghessa gli avvolse con cautela gli artigli intorno al torso e si alzò in volo tenendo però lo sguardo basso, attenta a segni di disagio da parte del suo passeggero.
Pochi potenti colpi d’ali li portarono a prendere quota fino ad infilarsi in una corrente ascensionale, dietro di loro i ruggiti di commiato della loro gente si spensero presto in lontananza. Neghiarth si alzò in alto puntando verso il cielo aperto, arrivati così in alto che le nuvole erano sparite il respiro di Kalruk si era fatto affannoso scesero in picchiata e Neghiarth lanciò una vampata così potente che squarciò il tessuto che separava l’isola dei draghi da altre dimensioni.
Si precipitarono verso quel varco. Kalruk non riusciva a tenere gli occhi aperti e le orecchie gli dolevano e infine perse I sensi.
°°°°°
Gli umani non avevano fatto una grande impressione su Neghiart, nè quelli che aveva visto due sulla spiaggia ne tanto meno quello che aveva riportato indietro nel suo mondo. Erano degli affarini piccoli e fragili con evidenti falle strutturali. Sesat se questo era il suo nome, aveva preso dimora al limitare del bosco, la draghessa gli aveva gentilmente comunicato che se avesse provato a scappare o nascondersi lo avrebbe masticato e riportato indietro solo la sua carcassa sanguinante.
Sesat adesso aveva tirato su quello che sembrava un riparo, ammassando tronchi caduti e accendendo un fuoco. Questo un po’ l’aveva sorpresa, non pensava che gli umani potessero produrre fuoco, ma erano fiamme piccole e penose, nulla a che vedere con il possente fuoco dei draghi.
Occasionalmente altri draghi passavano vicino alla sporgenza dove era appollaiata lei a osservare lo strano umano ma lei non si era mai allontanata, non glielo aveva chiesto nessuno ma si sentiva in qualche modo incaricata di quella creaturina.
Sbadigliando si acciambellò sulla sporgenza, sotto di lei anche l’umano sembrava srpofondato in un sonno profondo e lei non tardò a seguirlo.
°°°°°
Sesat si sentiva sull’orlo delle lacrime. Era stato rapito da un dannatissimo drago e portato in un’altra dannatissima dimensione. Il viaggio era stato un incubo confuso ed ad un certo punto si era risvegliato sdraiato in mezzo a dell’erba incolta. Per un attimo si era convinto che era un terribile sogno ma a mezzo metro di distanza c’era il drago che lo aveva portato lì.
“Umanide,” aveva detto la voce nella sua testa. “Adesso sei nella terra dei draghi, nessuno della tua specie aveva messo piede qui dall’alba dei tempi, se farai qualcosa che potrà arrecare un qualsiasi tipo di danno ad un drago non ci penserò un secondo a schiacciare il tuo fragile corpo tra le mie mascelle e risputarlo addosso ai tuoi compagni, sei avvertito.”
Inutile dire che se l’era quasi fatta sotto.La sua situazione non era molto migliorata da allora, aveva messo insieme un riparo di fortuna ammassando dei rami caduti contro il tronco di un albero e acceso un fuoco. In realtà quest’ultimo era stato un gesto istintivo, l’aria era calda e umida su quell’ isola (non era porprio sicuro che fosse un’isola ma non è che poteva chiedere indicazioni al riguardo), inoltre il suolo era come pervaso da un calore anormale. In lontananza gli era parso di vedere un vulcano forse sotto l’isola scorreva del magma.
Alla fine aveva deciso di non preoccuparsene, non aveva alcun controllo sulla situazione e sicuramente un eventuale esplosione vulcanica era l’ultimo dei suoi problemi. Il drago che lo aveva portato qui non si era allontanato più di tanto, Sesat poteva facilmente scorgere la sua coda coperta di scaglie rosse da oltre una sporgenza sulla montagna sopra di lui, mentre penzolava nel vuoto ondeggiando lentamente.
In realtà non era neanche quel drago a preoccuparlo, sembra decisamente disinteressato a lui, erano piuttosto le decine di altri draghi che sorvolavano il cielo, molti dei quali occasionalmente scendevano in picchiata sopra di lui come incuriositi. Non riusciva a scrollarsi di dosso l’idea che prima o poi qualcuno lo avrebbe afferrato al volo e portato chissà dove.
Curiosamente le sue preoccupazioni non si rivelarono così errate. Durante il suo secondo giorno di permanenza stava mettendo insieme una canna da pesca, aveva notato che I pesci nel fiume poco distante non solo erano numerosi ma praticamente immuni alla presenza umana, gli avevano nuotato intorno tranquillia anche quando era entrato nel fiume per sciaquarsi un po’, l’acqua era tiepida quanto il terreno ed era finalmente riuscito a scrollarsi di dosso un po’ di tensione. La foresta era ricca di bacche aveva perfino trovato funghi e erbe adatte alla cucina.
Mentre sopesava un bastone discretamente lungo un suono terribile lacerò il cielo. Un drago nero come la notte stava volando nella sua direzione sputando fuoco come impazzito. Altri draghi più piccoli dalle scaglie candide gli volavano intorno cercando di intralciarlo e Sesat si trovò incollato sul posto senza sapere cosa fare. C’era solo la foresta dove nascondersi ma gli sembrava un misero riparo contro quelle fiamme, pesino il fiumiciattolo dove aveva trovato ristoro quella mattina non sarebbe servito a nulla.
Uno spostamento d’aria un tonfo annunciarono l’atterraggio del drago rosso che aveva imparato a riconoscere al volo, aveva delle creste piccole e appuntite sulla testa che si dividevano in cinque file, non aveva visto nessun altro drago così, inoltre anche se gli era sembrato enorme all’inizio si rese conto che per un drago era decisamente piccolo. Ciò non era necessariamente uno svantaggio come scoprì di lì a poco. Gli artigli si chiusero attorno a lui per la seconda volta e in un secondo erano in aria sfrecciando via come una saetta. Il drago nero ruggì dietro di loro gettandosi all’inseguimento, ma Sesat rinunciò quasi subito a controllare dov’era perchè se si voltava all’indietro lo stomaco gli si stringeva e minacciava di vomitare in aria. Così guardava avanti e nonostante la precarietà della situazione rimase senza fiato: la terra fuggiva sotto di loro in un turbinio confuso, le cose sembravano piccolissime e il vento che li avvolgeva sembrava avere una consistenza quasi solida. Il panorama era incredibile; per ovvi motivi il giorno prima non aveva avuto modo di notare nulla ma adesso il mondo si stendeva davanti a lui. Le montagne aguzze si susseguivano come muraglie intorno a loro aprendosi improvissamente in verdi vallate, c’erano molti laghi e fiumi. Nella loro fuga oltrepassarono il vulcano che si vedeva in lontananza dal suo accampamento improvvisato e a Sesat giròla testa pensando a quanta strada avevano percorso in un battito di ciglia.
I ruggiti dietro di loro si fecero più lontanti e il drago rosso iniziò ad abbassarsi infilandosi in una stretta valle, puntò con decisione verso una cascata e Sesat si aggrappò al grosso artiglio intorno al suo torso urlando. Passarono l’acuqa scrosciante come una freccia e il drago spalancò le ali frenando la loro corsa. Dietro lo spesso torrente d’acqua che cadeva scrociante risuando nella caavità si nascondeva una grotta così grande che il drago aveva abbastanza spazio per continuare a volare e così fece, la grotta proseguiva per un lungo tratto, illuminata occasionalmente da crepe nel terreno sopra di loro, I raggi di luce rimbalzavano sui critalli colorati che spuntavano un po’ ovunque creando giochi di colore così belli che Sesat era senza parole. Infine il drago rallentò entrando in una grotta più ampia, diversi draghi fecero capolino da varie nicchie nelle pareti e loro puntarono verso il basso dove si allargava un imponente lago.
“Umanide.” Disse la voce. “Sei vivo?”
“Sì.” Rispsoe Sesat con la voce flebile che rimbalzò sull’acqua e sulle pareti.
“Neghiarth.” Disse una nuova voce e un drago un po’ più grande, sempre rosso ma più scuro planò accanto a loro facendo tremare la terra, con un fluido gesto ripiegò le ali e puntò gli occhi gialli sul drago che lo aveva portato lì.
“Anziano Nideneot, è un onore.”
“L’onore è mio giovane Neghiart.” Dissero come se fosse una forma di saluto, e probabilmente lo era.
“Perché l’umanide è qui?” Disse Nideneot.
“Si tratta di Valeru,” disse quello che doveva essere Neghiart, il drago che lo aveva portato via dai suoi amici. “Sembrava intenzionato ad attaccare l’umano, siamo riusciti a fuggire solo perché il clan Zanne Argento è intervenuto a rallentarlo.
“Valeru eh? Appartiene alla stirpe di Umbaroth. Probabilmente vuole vendicare il suo sangue.” Commentò il drago anziano.
“Nobile intento,” Un altro drago ancora si era avvicinato, le sue scaglie erano sempre rosse ma era un rosso pallido, quasi tendente al pesca.
“Anziano Grothod.” Salutò Neghiart.
“Giovane Neghiart, ben tornata al nido.” Rispose lui e Sesat prese nota con stupore che il suo rapitore era in realtà una rapitrice, srutò il drago alla ricerca di indizi della sua femminilità ma non c’era nulla che lo differenziasse dagli altri due. In effetti, non poteva per neanche essere certo che gli altri due non fossero femmine a loro volta. “O meglio sarebbe nobile se fossero queste le sue intenzioni.” Stava dicendo intento Grothod, “Il giovane Valeru è molto ambizioso e ha fatto di questa missione la sua crociata per acquisire prestigio agli occhi del suo nobile antenato, ho il dubbio.”
“Sono d’accordo con Grothod, hai fatto bene a portare qui l’umanide, Kalruk fa parte del clan nostro cugino, non possiamo permettere ad un giovane ammbizioso e sconsiderato come Valeru di infangare doppiamente il nostro nome per la sua cecità. D’ora in avanti l’umanide e sotto la protezione del nostro clan.” Sollevò la testa ruggendo e gli altri draghi gli fecero eco dalle pareti, mentre Sesat si faceva piccolo piccolo intimidito da quelle bestie gigantesche.

Precedente La flebile voce del verde Successivo Mi è sembrato di vedere un drago - capitolo 1