Salva l’erede salva il mondo (cit.)

Prologo

Le pallide dita accarezzarono riverenti la copertina antica e indurita dal tempo. Esitarono un secondo prima di prendere il manufatto in mano, Le pagine ingiallite scricchiolarono aprendosi.

Una sola frase era visibile:

-SALVA L’EREDE! –

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C’era una volta, questo è sempre un buon inizio, un mondo dove non era raro imbattersi in antichi artefatti magici; eredità di un’antichissima civiltà perduta.

Nella reale accademia di storia Lunshingrath si è a lungo discusso sulle cause della sua scomparsa, alcuni sostengono che si trattava di un popolo così avanzato che aveva i mezzi per lasciare questa dimensione, i più invece affermano che un’immensa guerra magica ha consumato tutto.

Ad ogni modo, al di fuori di quelle antiche e impolverate mura, la maggior parte delle persone vive tranquillamente fino alla fine dei suoi giorni senza venire mai a contatto con uno di questi oggetti dall’arcano potere.

Più familiari al cittadino comune, invece, erano alcuni grandi sortilegi come la potentissima magia del sangue che impediva di uccidere un proprio consanguineo. Il cui obiettivo aveva fornito per secoli argomenti di cui parlare ai nostri amici storici nelle lunghe serate invernali.

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Meno controversa, a detta degli storici era la storia della sparizione di Jeptha Farrov. Come è che i libri non riportano mai dettagliatamente la realtà. Tramite le pagine di un libro è difficile cogliere la pigra monotonia di una cittadina nel deserto, dove il caldo avvolge tutto come una coperta. Le cose non mutano, intere generazioni nascono crescono e infine muoiono e vengono sepolte nella sabbia.

Jeptha Farrov era una di queste persone. Un uomo comune, avrebbero detto quelli che lo conoscevano: suo padre era un vasaio, lui era un vasaio, suo figlio sarebbe diventato un apprendista vasaio nella loro bottega, tutto regolare, allora si usava così. Finché un giorno inspiegabilmente scomparve. Come accennato, Faresuph è in mezzo al grande Deserto D’Oro e, se ve lo state chiedendo, di solito non accade un gran che nel deserto. Quindi si parlò della sua scomparsa per settimane, ad ogni angolo c’erano insospettabili amici di Jeptha pronti a rievocare oscuri episodi del loro passato insieme. La povera vedova con il figlioletto riceveva continui doni consolatori e quotidianamente faceva in modo di trovare una commissioncina che la portasse ad attraversare la città con il volto distrutto e il figlioletto in braccio.

Jeptha Farrov era scomparso e sarebbe stato sorpreso di sapere quanti amici che non aveva mai conosciuto si disperarono per questo infausto evento.

Lo fu davvero, sorpreso intendo, quando mesi a seguire ricomparve alle porte di Faresuph con un’assurda compagnia. La gente lo additava sconvolta, la moglie sembrava quasi offesa dal suo ritorno, proprio ora che uno dei suoi cosiddetti amici a furia di consolarla aveva chiesto la sua mano.

Tutto questo i libri non lo dicono, ovviamente ci sono interi trattati che narrano le eroiche gesta di una valorosa compagnia che affrontò mille insidie per recuperare uno degli artefatti magici più potenti di sempre: il Libro delle Risposte, ma questa è un’altra storia. Quello che i libri dicono sul ritorno a casa di Jeptha si riduce in genere ad un paio di paragrafi sulla sua scelta di ristabilirsi nella sua città natale.

Questo spiega il maestoso aspetto di Faresuph al giorno d’oggi. Nulla rimane della modesta cittadina che oggi si presenta come un’immensa metropoli nel centro esatto del deserto, un afflusso massiccio di persone può fare una cosa del genere ad una città. Il Libro delle Risposte aveva la peculiare caratteristica di poter rispondere a qualsiasi domanda diretta, unico limite? Funzionava solo nelle mani del suo prescelto. Avete indovinato, stiamo parlando di Jeptha.

Forse potreste pensare che un tale dono sia ereditario, ma vi sbagliate. Due persone completamente uguali sono rare quanto due granelli di sabbia identici. Jeptha stesso nei suoi diari si premurò di tralasciare ai posteri le sue preoccupazioni. Il Libro gli aveva comunicato che al momento giusto un altro prescelto si sarebbe fatto avanti com’era stato per lui.

Così Jeptha morì e il Libro delle Risposte rimase in custodia della Biblioteca Sepolta, costruita da Jeptha durante gli ultimi anni della sua vita. Perché una biblioteca e non, non saprei, una stanza del tesoro sorvegliata a vista?

Perché a chi interesserebbe un libro dalle pagine bianche?

La biblioteca crebbe a dismisura e nelle sue profondità, il Libro delle Risposte attese.

Al giorno d’oggi, la carica di sommo bibliotecario era nelle mani di Amiras, un uomo che si avvicinava a quell’età dove non si gestiscono bene i cambiamenti improvvisi. Ogni giorno Amiras entrava nella biblioteca per primo e si soffermava ad ammirare la sua complicata struttura a doppia spirale, camminava quietamente lungo uno dei rami accarezzando i dorsi dei libri con l’amore di una madre. Accendeva le candele nei livelli più bassi, occasionalmente prelevava un libro da consultare durante la giornata e dopo una breve sosta davanti al leggio del Libro delle Risposte, risaliva altrettanto lentamente l’altro ramo della spirale.

Gli ci vollero una decina di passi per razionalizzare ciò che aveva visto. Si voltò quasi a rallentatore poi scattò in avanti lasciando cadere i libri teneva in mano, incespicò sul gradino e si aggrappò al leggio per non cadere. Vuoto. Il libro non c’era. Il suo sguardò vagò dal ripiano di legno massiccio agli scaffali. Gli mancava la voce. Chi poteva chiamare? Non c’erano guardie, quella era una biblioteca non una prigione. Era così sconvolto che non si accorse di iperventilare finché il mondo non divenne nero e svenne.

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Oltre le discussioni vuote, un altro argomento che eccitava gli studiosi di Lushingrath erano i paragoni, meglio se fatti a vuoto, senza una ragione reale, giusto per il gusto di parlare. In particolare un paragone aveva generato molto scalpore, al punto che era diventata materia d’esame: una stessa realtà vissuta in due estremi opposti. Il grande Libro degli Opposti aveva l’esempio perfetto per quest’argomento, guarda caso la protagonista era proprio Lushingrath. Il libro perdeva interi capitoli a descrivere il clima arido e secco della città nel deserto, per poi passare di punto in bianco a considerare il suo opposto: Cirath, sull’isola di Cinerath.

Cinerath era una fredda isola nel nord. Il clima era così freddo che la neve ghiacciava sul suolo trasformandola in un’immensa distesa di ghiaccio, dall’impervia scogliera a nord fino ai margini della foresta bianca. Questi alberi, così fitti da precludere la vista del cielo, incorniciavano la città di Cirath.

A prima vista poteva sembrare una città fortificata, con alte mura e abitazioni basse e squadrate. L’intera città sembrava scavata in un blocco scuro di granito, ma in realtà l’unico nemico che avevano visto quei bastioni era il clima. Nessuno aveva mai pensato di conquistare Cinerath: per cosa poi? Il ghiaccio? Semplicemente non c’era nulla che valeva la pena conquistare.

Probabilmente sarebbe rimasto uno scoglio isolato nel nulla se nel quarto secolo una nave non fosse naufragata sulle loro coste. A bordo l’unico erede al regno di Dragstorm, il giovane principe Luther Aldrige. Dopo una lunga convalescenza il principe riprese il mare portando con sé Herlinde

Barnabas Ashton era cresciuto a Cinerath, una fredda isola a nord. Era un ragazzo forte, riconosciuto e rispettato da cacciatori anche molto più grandi di lui. Quando venne la guerra aveva appena vent’anni, ma partì senza esitazione. Mancava di tecnica ed era asociale al limite della misantropia. Eppure sul campo di battaglia emanava un tale carisma e determinazione da infondere coraggio anche nei suoi compagni, altrettanto giovani e inesperti. Ignaro di cosa fosse la strategia militare ma guidato da uno sconfinato senso pratico si rese prezioso immediatamente. Non è raro fare strada in fretta durante una guerra; le persone hanno la malsana abitudine di morire in gran numero in queste occasioni. Quando i conflitti finirono l’allora re Irwin Aldrige dell’Algida Fiamma lo proclamò comandante e gli donò la sua isola come feudo.

Anche sotto la guida di questo re illuminato Dragstorm conobbe molti conflitti e al giorno d’oggi quello che un tempo era un selvaggio ragazzo con una scure e un cipiglio infastidito è il generale supremo Barnabas Ashton granduca di Cinerath. Gli anni lo hanno trasformato in un uomo alto e possente. Qualunque soldato del suo esercito lo seguirebbe oltre i confini della morte; fedele alla sua natura indomabile non c’è stata guerra che non lo abbia visto in prima fila.

Anche dopo la morte di re Irwin durante il regno caotico di suo figlio Lucas la sua figura salda è sempre stata un punto di riferimento per il popolo.

La vita non era stata tuttavia clemente con lui.

Quel giorno cadeva la neve sul cimitero di Du-Haghen, la magnifica capitale di Dragstorm. Avevano portato la bara in spalla dalla cappella, quasi non pesava, Virginia si era debilitata molto durante la malattia che l’aveva strappata a suo marito. Barnabas rimase ritto come una statua in attesa che il feretro fosse calato nella fossa; poi ammonendo i presenti con uno sguardo prese personalmente la pala e si mise all’opera. I pochi presenti, quasi tutti suoi compagni d’armi, lo lasciarono solo con discrezione. Quello era il suo ultimo addio a quella ragazza, bella come il sole, che era stata la sola in grado di sciogliere un po’ il cuore indurito del generale.

Quando la fossa fu piena l’uomo lasciò cadere la pala e cadde in ginocchio. Non era in grado di piangere, non lo aveva fatto quando un’epidemia gli aveva strappato i suoi genitori e non sentiva il bisogno di farlo ora.

Dentro di lui c’era solo rabbia.

Ma non la rabbia ribollente che era costata la vita a innumerevoli avversari.

Una rabbia più fredda di quell’inverno interminabile, che gli toglieva sonno e appetito lasciando solo il vuoto.

Quando le ombre iniziarono ad arrampicarsi sulle lapidi si alzò. I muscoli irrigiditi protestarono ma questo non lo rallentò minimamente. Oltre il cimitero sorgeva il tempio sacro agli dei dove era conservato il tesoro più grande della nazione. Le due guardie non provarono neanche a sbarrargli il passo. La sua meta era la sala sotto l’edificio, scese per una scala nascosta accompagnato dal rumore dei suoi passi. In teoria non poteva entrare lì, nessuno poteva, anche il re era intimorito da quell’oggetto antico, ma tutti quelli che forse avrebbero potuto impedirglielo lavoravano per lui.

La stanza non era eccessivamente grande, una passerella in pietra correva lungo le pareti spoglie intorno ad una pozza d’acqua cristallina lievemente luminescente. Sotto la superficie giaceva da tempo immemore la tavola delle promesse. L’enorme lastrone squadrato in modo troppo preciso perché potesse essere opere degli umani era attraversato da una scrittura fittissima ed elegante.

Sempre una la dinastia di Dragstorm sarà finché il libro delle risposte dal deserto sparirà

In quel dì lontano un altro sovrano salirà al trono conquistando il regno di sua mano

Se l’erede non si porrà fra lui e la vittoria la nuova dinastia diventerà parte della storia

Quelle parole lo ossessionavano da quando le aveva lette per la prima volta, diversi anni prima. Erano in pratica l’unica ragione per cui non aveva messo fine a quella dinastia di smidollati. Qualcosa gli diceva che il momento sarebbe arrivato presto, ma ogni volta che doveva inchinarsi davanti a quel patetico sovrano che era re Lucas la sua pazienza si assottigliava.

A tarda notte infine si rassegnò a ritirarsi nelle sue stanze. Non si aspettava certo di trovarsi un messaggero infreddolito ad aspettarlo spostando il peso da un piede all’altro come se fosse in piedi sulle braci ardenti.

“Ho detto di non voler essere disturbato!” qualunque cosa avrebbe potuto aspettare il giorno dopo, stava per chiamare le guardie e farlo portare via quando l’uomo si lasciò sfuggire l’ultima parola che si aspettava di sentire.

“Il libro…”

“Come hai detto?”

“Il libro delle risposte è stato trafugato dalla biblioteca sepolta stanotte mio signore”

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Nella lontana città di Bolgate, Relias terzo della stirpe dell’Algida Fiamma, a cui non dispiaceva il suo cognome. Semmai era con il nome che aveva qualche problema. C’erano stati altri due Relias prima di lui: un semisconosciuto scrittore del settimo secolo, prima che la sua famiglia si conquistasse il titolo nobiliare, e uno sciocco duca nel nono secolo che si era fatto impiccare dai suoi sudditi. Secondo suo padre era una buona cosa: sarebbe stato lui a dare lustro al nome. Secondo i suoi ventisette fratelli quest’onere sarebbe toccato al quarto Relias; ovviamente si parla dei fratelli che si ricordavano della sua esistenza. È anche vero che dopo ventotto figli si poteva perdonare una piccola mancanza d’ispirazione a suo padre.

Ma, una sera primaverile, Relias si rese conto improvvisamente che quelli non erano problemi seri. La povertà è un problema serio. La pirateria è un problema serio. Il capo dell’esercito che organizza un colpo di stato è un problema serio. Quest’ultimo in particolare lo toccò da vicino; nel senso letterale, sotto forma del cadavere di Dreion, uno dei suoi fratelli più odiosi. Quando hai diverse decine di fratelli che si dilettano a farti scherzi ignobili impari a dormire con un occhio aperto. Fu per questo che Relias scattò fuori dal letto inorridito senza la minima esitazione. Una freccia spuntava dalla gola del ragazzo, il sangue stava già imbrattando le lenzuola. Dreion voltava le spalle alla finestra, ed era caduto in avanti. In pratica la freccia era venuta da fuori.

Veloce come non lo era mai stato Relias si appiattì contro il muro. Non era ragionevole che qualcuno lo volesse morto. Doveva esserci un’altra spiegazione.

Un urlo soffocato gli annunciò che non era l’unico ad aver avuto un brutto risveglio.

La sola idea di scappare gli sembrò così ridicola che a momenti si mise a ridere. Era una delle persone più imbranate che la stori ricordasse e non era mai uscito da palazzo da solo. Si guardò intorno sovrappensiero.

Poco dopo due figure avvolti in abiti scuri socchiusero la porta con circospezione.

“Sembra che ci abbiano già pensato i cecchini” sussurrò una.

“Controllo che sia morto” annuì l’altra.

Sotto lo sguardo attonito di Relias, quella che riconobbe come una delle nuove cameriere assunte qualche settimana prima, tastò professionalmente il collo di suo fratello, dopo un secondo fece un segno alla sua complice e se ne andarono senza chiudere la porta. Intravide delle ombre correre per il corridoio in silenzio.

Rimase fermo immobile nelle ombre fra le ombre sotto la scrivania. La luce schiarì lentamente fino al canto del gallo. Gli facevano male i muscoli e le ossa. Quelle lunghe ore erano state interminabili, ma ora aveva qualcosa che assomigliava ad un piano. Non poteva sapere se fra la servitù ci fossero altri sicari, quel luogo non era sicuro, doveva andarsene immediatamente.

Si spogliò cercando di non fare il minimo rumore. Sul fondo dell’armadio teneva nascosta una divisa da paggio, l’aveva rubata mesi prima dopo un violento litigio con suo padre; nella rabbia del momento aveva pensato di fuggire e farsi una vita lontano da quel mondo corrotto e soffocante. Ma non aveva mai avuto il coraggio.

Ora invece era una questione di sopravvivenza. Era leggermente stretta, non riusciva a muovere bene le braccia ma dubitava che qualcuno ci avrebbe fatto caso. Si avvicinò alla porta e attese. Le urla arrivarono come previsto accompagnate da una gran confusione. Relias corse fuori e si unì alla moltitudine di persone che frenetica affollava i corridoi. Aveva coperto come possibile la testa con una fascia e infilato la lunga treccia di capelli castani nella casacca, si teneva a lato con la testa bassa, attento a non intercettare lo sguardo di nessuno. Teneva una mano poggiata contro il petto sperando che nessuno sentisse il tintinnio delle monete che aveva avuto il buon senso di prendere.

Improvvisamente fu strattonato di lato e solo uno sprazzo di buon senso vagabondo impedì che si mettesse ad urlare.

Una ragazza dai focosi capelli rossi e una veste da cameriera lo guardava con occhi sgranati. Doveva essere una delle inservienti di palazzo, non si ricordava di lei, ma quelle ragazze cambiavano più in fretta del clima era impossibile impararsi i loro nomi.

“Vostra altezza!” Disse concitata “Siete in pericolo non potete rimanere qui” su questo erano d’accordo

Dei passi si avvicinavano da dietro l’angolo e i due si affrettarono a fuggire in direzione opposta.

La loro meta, come scoprì in seguito, erano le scuderie. La ragazza lo guidava sicura attraverso i corridoi della servitù. Poi improvvisamente lo spinse oltre una soglia richiudendola alle sue spalle, Relias provò a riaprirla ma senza successo. Alla fine fu costretto a lasciar perdere, almeno lo aveva portato a destinazione. Attanagliato dalla paura sfortunatamente non si era reso conto che anche riuscendo ad arrivare indenne di fronte al suo cavallo, un paggio che sella un cavallo e monta in groppa con tutta l’intenzione di andarsene non è uno spettacolo usuale.

“Ehi tu!” urlò qualcuno dietro di lui, l’effetto che quel richiamo ebbe sul suo stomaco fu devastante, per un atroce attimo temette di farla lì dove si trovava. In preda al terrore piantò i talloni nei fianchi del povero animale che nitrì infelice e si lanciò in avanti.

“Fermatelo!”

“Deve sapere qualcosa!”

Qualcuno gli si parò davanti ma ebbe il buon senso di spostarsi prima di essere travolto, anche perché Relias in quello stato non sarebbe sicuramente stato in grado di evitarlo. Uno spostamento d’aria ad un palmo dalla testa gli annunciò che adesso lo bersagliavano con le frecce.

Senza più riuscire a trattenere le lacrime si chinò in avanti sulla sella singhiozzando incontrollatamente. Non aveva idea di dove si stava dirigendo, sperava solo fosse lontano, molto lontano.

Fu così che Relias terzo dell’Algida Fiamma, ventottesimo figlio del duca Gandremalius di Bolgate, ignorato dalla storia, bistrattato dall’araldica e relegato sempre nell’angolo in basso a destra dell’albero genealogico di famiglia divenne l’erede al trono di Dragstorm.

Quando riuscì a riprendersi il cavallo aveva rallentato, ora trottava appena in una zona sconosciuta della città; gli sembrava passata un’eternità ma probabilmente non era neanche un’ora.

Sicuramente mi stanno cercando– si guardò intorno ma era inutile, non conosceva quella parte della città. Il cavallo sgroppò nervoso rischiando di farlo cadere. Probabilmente gli salvò la vita.

Un fischio gli passò ad un centimetro dal naso annunciando una freccia.

Relias si guardò intorno in preda al panico, delle figure scendeva a cavallo per la strada, quella in testa aveva un arco. Infilò i talloni nei fianchi del cavallo infilandosi in una strada laterale; sentiva il cuore in gola. Purtroppo le strade erano vuote, nessuno poteva aiutarlo, si rese conto improvvisamente che così non li avrebbe mai seminati, il rumore degli zoccoli sul selciato lo tradiva.

Imboccò un’altra strada dirigendosi verso il porto, ma arrestò il cavallo quasi subito smontando in fretta e furia. Diede una pacca sul fianco dell’animale che ripartì al galoppo e lui puntò un vicoletto sperando che quello stratagemma bastasse anche se ne dubitava. Ormai aveva del tutto perso l’orientamento, conosceva quelle strade solo di fama; non buona a dirla tutta. Sapeva che in quel sobborgo, sorgevano locali malfamati ma non poteva permettersi di fare lo schizzinoso.

Il dolore alla spalla lo colse talmente di sorpresa che lanciò un urlo afferrandosi il braccio sinistro, lo avevano colpito di striscio con una freccia, catturò una vaga immagina di una figura alle sue spalle e arrancò in un vicolo sbandando con la vista appannata. Gli girava la testa e sentiva che stava per svenire, urtò contro un altro corpo e si sentì mancare. Crollò in ginocchio e il mondo divenne buio.

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Nei sobborghi di Bolgate non era raro trovare bambini di nome Piff o Jem: come se i genitori sperassero che nomi insignificanti li aiutassero a passare inosservati e sopravvivere fino all’età adulta.

E poi c’era Antimony.

Antimony E Basta come ci teneva a precisare lei ogni qualvolta serviva. Come molte altre sua madre aveva intrapreso il mestiere più antico del mondo e quindi la bimba decise fin troppo presto che preferiva essere solo sé stessa, che farsi associare ad uno sconosciuto dai dubbi principi morali. Poi sua madre morì e fu davvero sola. Non si può dire che Antimony non volesse bene alla madre: aveva compassione di quella donna debole e svampita, che nella vita aveva fatto tutte scelte sbagliate. Pianse quando morì. Si ripromise di ricordarla per sempre…e di non diventare mai come lei.

I bassifondi non sono il luogo ideale per una ragazza sola e nessuno sano di mente vorrebbe star solo con Antimony.

Questa frase fu il motto di un’intera generazione di ragazzetti. Tutto nacque quando il giovane e precoce David Baker, che già aveva mietuto un paio di vittime fra il genere femminile, si rese conto che madre natura era sta più che generosa con la ragazza bionda che abitava dietro il bordello. In seguito non volle mai raccontare cosa accadde, tutto ciò che si sa è che lo trovarono nudo in un barile con un orecchio mancante.

Il fatto è che ad Antimony mancavano delle figure di riferimento. Crescendo iniziò ben presto a guardarsi intorno per cercare degli esempi negli adulti che la circondavano. Le amiche di sua madre le spiegarono quello che c’era da sapere sul suo corpo. Il padrone del bordello le aveva insegnato a leggere e scrivere, affermando che altrimenti non sarebbe andata da nessuna parte. Ad una certa età prese la strana abitudine di salpare con i pirati a intervalli regolari, senza alcun preavviso. C’era una ciurma che visitava il bordello diverse volte l’anno che l’aveva presa in simpatia, diversi di loro erano stati clienti di sua madre e in qualche modo l’avevano adottata, così periodicamente spariva per poi tornare carica di strani oggetti e in con qualche nuovo tatuaggio. Al bordello non le dicevano nulla, anche perché molte volte riportava dei tesori che usava, in pratica per pagarsi l’affitto. Non sapeva spiegarsi neanche lei perché continuasse a tornare in quel posto ma non era abituata a farsi dire di no, neanche da sé stessa, così seguiva il suo istinto senza voltarsi mai indietro; metaforicamente e fisicamente.

Nel quartiere la sua figura che incedeva decisa suscitava non poca attenzione, a cominciare dall’insolito colore dei capelli fino all’abitudine d’indossare i pantaloni sotto la gonna. I bambini del quartiere inventavano storie assurde su di lei, mentre le vecchiette sparlavano felicemente al suo passaggio. In questa pigra routine gli anni passavano, Antimony cresceva forte e il suo sguardo attento rimaneva immutato. Lei osservava. In attesa. Neanche lei sapeva di cosa.

Poi una mattina, poco dopo l’alba, una figura minuta la urtò in un vicolo e tutto improvvisamente cambiò.

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Barnabas camminava avanti e indietro nella sala del trono di Lushingrath. Non poteva dormire mentre i suoi sicari in tutto il regno sterminavano la famiglia reale; periodicamente entrava un messo con un dispaccio urgente e lui eliminava dei nomi dalla sua lista.

Il cadavere del loro compianto sovrano senza cervello giaceva lì dove lo aveva trapassato con la spada. Presto avrebbe dovuto ordinare di portarlo via o avrebbe iniziato a puzzare, ma per il momento la vista del cadavere gli dava una macabra soddisfazione.

Erano passati due anni dalla scomparsa della sua adorata Virginia e aveva lavorato incessantemente deciso a mettere la parola fine a quella dinastia. Continuava a ripetersi che se non fosse stato per le continue campagne militari sarebbe potuto rimanere vicino alla sua amata e le cose sarebbero andate in modo diverso e questo lo spingeva ad andare avanti. Ovviamente la versione che aveva raccontato ai suoi complici era diversa:

“Stanno prosciugando questo regno!” diceva infervorato “Da quando sono saliti al trono la nostra civiltà è in declino, la magia è sempre più debole, non c’è più rispetto per la storia e per le nostre tradizioni!” in particolare questo argomento aveva molto successo, gli abitanti di Dragstorm erano per natura conservatori e la politica progressista della stirpe dell’Algida Fiamma era stata sopportata finché aveva portato dei benefici. Adesso che le cose andavano male erano un capro espiatorio perfetto.

All’alba mancava solo il rapporto sulla città di Bolgate; da una parte era uno degli obiettivi più preoccupanti perché c’erano decine di eredi, dall’altra erano quasi tutti ragazzini, quindi Barnabas non era eccessivamente in ansia.

Il messo entrò con aria esitante inchinandosi, quell’uomo non era ancora re ma considerando la natura delle notizie sperava di lusingarlo in qualche modo.

“Allora?”

“Tutti morti signore!”

“Eccellente!” Barnabas si concesse una rara smorfia, non ricordava più bene come si sorrideva, e fece per cancellare l’ultima voce dall’elenco.

“Tranne uno…”

Il messaggero ebbe la netta impressione che la temperatura calasse. Sentì dei passi avvicinarsi ma non osò alzare la testa, almeno finché una mano lo strattonò. Barnabas aveva un’espressione terribile:

“Che vuol dire tranne uno?” chiuse l’altra mano intorno alla sua gola quasi sollevandolo da terra.

“Un ragazzino…” rantolò, cercando di liberarsi dalla morsa di ferro “Non sappiamo chi…” emise un verso strozzato ma Barnabas non lo vedeva neanche più accecato dall’ira, strinse un’ultima volta poi lasciò cadere il corpo esanime a terra.

Raccolse il plico di carte con il rapporto dettagliato e scorse in fretta le poche righe; un ragazzino che non arrivava a vent’anni era fuggito in barba ai migliori sicari dell’impero. Doveva trovarlo assolutamente, ma non poteva rendere le ricerche troppo plateali, non poteva rischiare che le persone iniziassero a fare domande.

Secondo il rapporto era stato aiutato ed erano sulle tracce della sua complice; non aveva scelta se non fidarsi dei suoi uomini, o per lo meno confidare nella paura che avevano di lui.

Poi lo colpì un’illuminazione, non poteva mettere una taglia sulla testa di quella giovane che secondo il suo luogotenente aveva ucciso due dei suoi uomini e menomato il terzo.

Non sapeva chi fosse quella sgualdrina, ma aveva appena commesso l’errore più grande della sua vita.

Il prezzo delle zucche era salito ancora. La bionda giovane donna dalla postura rigida e l’espressione crucciata si allontanò dal negozio lasciando dietro di sé un fruttivendolo terrorizzato. Le piaceva il sapore lieve delle zucche, era un alimento incredibilmente versatile, sia nei piatti dolci che nei salati; era una verdura pratica e questo Antimony lo apprezzava.

Ma ultimamente il prezzo della frutta e della verdura si stava facendo proibitivo. Le voci dicevano che si preparava una guerra e che nelle campagne stessero già arruolando forzatamente i giovani.

Il loro re sfortunatamente sembrava deciso a conquistare tutto il conquistabile, il che sarebbe anche andato bene se non avesse fatto impennare il prezzo delle sue adorate verdure a tal punto.

Si addentrò a passo sicuro nel quartiere di piacere dirigendosi ad una struttura decorata in stile barocco. Il fiore di rubino era il bordello più grande della città, allestito in un grosso edificio dalle tinte porpora con rifiniture dorate e vetri colorati alle finestre. Esisteva un ingresso secondario sul retro ma Antimony non era mai stata tipo da badare a queste sottigliezze e marciò attraverso l’entrata senza farsi problemi, i buttafuori la salutarono divertiti dal tavolino dove giocavano a carte. A quell’ora la casa era molto quieta, ancora non c’erano clienti e quasi tutti dormivano.

La camera di Antimony era all’ultimo piano, nell’ala posteriore dove c’erano gli alloggi privati, anche se definirla camera era un po’ una forzatura, si trattava della soffitta. Come ogni mansarda che si rispetti era ingombra di vecchi mobili e bauli, ma c’era uno spazio libero davanti alla grossa vetrata che dava sul retro dell’edificio, la vista non era delle migliori perché si affacciava sui quartieri più poveri, ma erano tutti edifici bassi e lo sguardo poteva facilmente spaziare fino al mare.

Anni prima Antimony aveva ripulito quello spazio per sé, approfittando di alcuni mobili di suo gradimento per decorarlo e isolarlo dal resto del ambiente, dei vecchi armadi e uno specchio le facevano da pareti, un drappo colorato era la sua porta. La ragazza scostò la stoffa leggera che tanti anni prima aveva ricevuto in regalo per il suo compleanno da sua madre, gli armadi e i bauli cha aveva radunato in quello spazio rappresentavano tutto ciò che possedeva. Non si sarebbe detto ma era incredibilmente attaccata ad alcuni oggetti, le piaceva alzarsi la mattina ed avere intorno il frutto delle sue scorrerie con i pirati e gli occasionali doni che riceveva, aveva una passione per gli oggetti curiosi e gli abiti esotici; non che le fosse mai passato per l’anticamera del cervello di indossarli.

Il suo letto era ricavato in un’alcova isolata con altri drappi di stoffa e imbottita di cuscini, la ragazza si chinò a sbirciare all’interno ma con sua sorpresa la trovò vuota. Uno scricchilio alle tradì il suo ospite, fece un passo di lato evitando la sedia che il ragazzino le voleva evidentemente rompere in testa, il poverino perse l’equilibrio atterrando fortunatamente sulla massa di cuscini.

“Buongiorno” disse lei imperturbabile “Dormito bene?”

“Chi sei? Dove sono? Cosa vuoi farmi?”

“Mi chiamo Antimony, sei al Treasure Castle e pensavo di farti la colazione, non so perché ce l’avevano con te ma qui sei al sicuro”

Relias si lasciò scappare una risata isterica.

“Al sicuro? Ma se sono riusciti ad entrare nel palazzo di mio padre non vedo cosa dovrebbe impeirgli di entrare…cos’è questo posto?”

In qualche modo si era guadagnato la completa attenzione della ragazza: “Un bordello” mormorò “Palazzo? Sei figlio del duca?”

“Oh” Relias arrossì fino alla radice dei capelli, aveva sentito di quei posti ma non aveva mai pensato che un giorno ci sarebbe entrato di persona.

“Questo è un problema!” Antimony guardandosi intorno in un raro attimo di smarrimento, quella mattina al mercato si parlava di una sola cosa: lo sterminio della famiglia del duca, alcune voci dicevano che anche il resto della famiglia reale fosse stato liquidato e che si trattasse di un colpo di stato. Non vedeva perché il ragazzino avrebbe dovuto mentirle e i sicari che lo inseguivano quella mattina non facevano che confermare la sua ipotesi.

“Tu…” disse esitante il ragazzo “Sai se la mia famiglia…?” Antimony si voltò verso di lui. Non era una persona patriottica, dopo tutto per la maggior parte del tempo era una pirata, ma qualcuno aveva massacrato la famiglia di quel ragazzo nel sonno e ora non si sarebbe dato pace finché non avesse ucciso anche lui. Tutto questo solo perché un suo lontano parente sedeva sul trono di Lushingrath e la corona non avrebbe accettato un nuovo re se qualcuno della dinastia precedente era ancora in vita.

Semplicemente non poteva girarsi e far finta di non vedere. S’inginocchiò davanti al ragazzo; guardandolo da vicino notò un accenno di barba, forse non era così giovane come pensava, ma rimaneva il fatto che non sarebbe durato mezza giornata da solo.

“Mi dispiace per la tua famiglia” disse e lo vide mordersi un labbro “però adesso sei in pericolo, dobbiamo andare via subito!”

“Dobbiamo?” la sua voce tremava.

Antimony annuì decisa alzandosi.

“Non ti lascio da solo tranquillo” gli tese una mano tirandolo in piedi, si guadagnò così un debole sorriso.

“Relias” disse lui con voce più ferma “Mi chiamo Relias”

“Molto bene Relias, spogliati!” il ragazzo arrossì violentemente e quasi gli scoppiò a ridere in faccia “Non vorrai fuggire in pigiama?” il sollievo nei suoi occhi fu evidente, almeno finché non vide cosa gli porgeva la ragazza.

“Hai voglia di scherzare?”

“Io non scherzo mai”

Hunter Wolf, il cielo sa quale fosse il suo vero nome si riteneva una persona alla mano.

Si avvicinava mezzodì quando il suo amato bordello fu invaso dalle guardie di palazzo, ma lui non si scompose.

Zephyr emise un gridolino eccitato, il ragazzo adorava le uniformi. Hunter alzò gli occhi al cielo, il giorno che avrebbe imparato a essere professionale avrebbe dovuto dare una festa; gli stava anche bene l’entusiasmo purché lo mostrasse con tutti i clienti.

“Buongiorno!” Esordì allargando le braccia con un sorriso smagliante “le forze dell’ordine sono sempre le benvenute al Treasure’s castle, qualunque cosa cercate qui la troverete” tanti anni a sorridere forzatamente gli permisero di mantenere tranquillamente la compostezza pur davanti a quella specie di orso che doveva essere il capitano. Il quale incombette sopra di lui con aria minacciosa.

“Niente convenevoli stiamo cercando una ragazza!” Hunter inarcò il sopracciglio. Quel tipo poteva fare la voce grossa quanto voleva ma non poteva nascondere nulla ai suoi occhi allenati; stava sudando sul collo e il suo sguardo saettava in giro per poi tornare di colpo su di lui: era curioso, ma anche a disagio; probabilmente era la sua prima volta in un bordello, o forse addirittura in quella parte della città. Dopotutto le guardie di palazzo avevano un certo decoro da mantenere, non potevano farsi vedere a bighellonare nei quartieri malfamati come quello. Le labbra di Hunter si arricciarono in un sorriso, quel grosso bietolone, anche se impacciato sapeva cosa faceva, nessuno aveva estratto le armi nonostante la natura della situazione. Mettersi a sventolare una spada in quel posto non sarebbe stato una buona idea: il quartiere di piacere era comunemente noto come zona neutrale, nelle stanze al piano disopra c’erano tanto noti ambasciatori che terribili criminali; tutti avevano bisogno di staccare la spina a volte e nessuno voleva turbare quello stato di cose. Specie se voleva mantenere i gradi da ufficiale e la testa sul collo.

Ci sarebbe stato da divertirsi.

“Una in particolare? Qui ci sono tutte le ragazze che potete volere” un coro di risolini si sollevò da varie parti nella stanza e tutti poterono ammirare le orecchie del capitano tingersi di un’impressionante sfumatura di rosso.

“Stiamo cercando una ragazza bionda che stamattina era al mercato, i testimoni dicono che l’hanno vista entrare qui con due delle tue prostitute”

Antimony. Poteva trattarsi solo di lei. Hunter non sapeva cosa diavolo stesse succedendo, ma se le voci erano vere e la famiglia del duca era stata sterminata la presenza delle guardie lì era quanto mai sospetta.

Con la coda dell’occhio intravide Diamond chinarsi su Moonstone e due secondi dopo la giovane sgusciò via di soppiatto.

Se possibile s’innamorò ancora di più di quella donna incredibile, era perfetta per lui.

“Porta qui tutte le tue sgualdrine bionde!” sbraitò il capitano riportandolo con i piedi per terra. Il suo sguardo si assottigliò pericolosamente, non gli piaceva per nulla quando insultavano le sue ragazze.

“Ma certo” disse accondiscendente strascicando le parole “Diamond, cara, ti occuperesti gentilmente dei signori?”

“Certamente” la voce fredda della donna gli comunicò che neanche lei aveva gradito.

Si allontanò di fretta mentre la sua adorata conduceva quel branco di gorilla nella sala più interna.

Incontrò Moonstone e Antimony sulle scale della soffitta anche se ci mise qualche secondo a riconoscere la ragazza che aveva visto crescere.

Portava i capelli raccolti in un’elegante acconciatura, un vestito raffinato e un filo di trucco. Era splendida.

“Hunter!” lo apostrofò lei “Ce ne stiamo andando, non mettere inutilmente in pericolo le ragazze, raccontagli che una ragazza manca all’appello e che secondo te sono scappata”

L’uomo si scosse notando allora il terzo componente del gruppetto. Un’adorabile signorina dai corti capelli ricci color mogano vestita di uno splendido vestito celeste. Ad un occhio inesperto doveva sembrare pudicamente nascosta dietro un ventaglio di pizzo ma Hunter si rese conto subito della situazione.

“Se vuoi sembrare una ragazza più che il viso preoccupati di nascondere il pomo d’adamo” disse alla volta del ragazzo che arrossì nascondendo la parte incriminata ma l’attenzione di Hunter era già tornata su Antimony “Devi fare qualcosa per quei capelli, ti consiglio le radici di Robbia”

La ragazza annuì decisa poi esitò: “Hunter…”

“Tienilo per quando tornerai, ora andate, vieni Moon raduniamo le altre, meglio sbrigarsi prima che la mia dolce Diamond avveleni tutti”

Detto ciò girò sui tacchi seguito dalla giovane che si fermò solo un secondo stringendo il braccio di Antimony in una stretta veloce per poi sparire dietro l’uomo.

“Da questa parte” disse Antimony dirigendosi dalla parte opposta. Relias si afferrò la gonna a piene braccia correndole dietro, Si sentiva un idiota vestito così e il corsetto minacciava di strangolarlo da un momento all’altro, la parrucca non gli dava tanto fastidio in sé ma i capelli che gli ondeggiavano intorno al viso gli davano una sensazione stranissima.

Scesero le scale dove Relias rischiò di uccidersi perché non vedeva dove andava e attraversarono una piccola lavanderia fermandosi vicino ad una porta che conduceva fuori.

Si voltò verso di lui e iniziò a ispezionarlo minuziosamente: gli fece lasciare la gonna girandogli intorno per lisciarla, gli sparse un altro velo di cipria sul naso per poi riporla nella delicata borsetta da polso che aveva preso appositamente e infine passò a ravvivarle i capelli con gesti delicati.

“Quando usciremo da lì” disse indicando la porta “Ci prenderemo sottobraccio, fai passi piccoli e non correre, siamo due signorine d’alta classe ora; infondo alla strada sbucheremo sulla via commerciale dove ci saranno più soldati ma voglio che tu mantieni comunque un passo calmo; osserva le bancarelle, fai finta di parlare con me e tieni il ventaglio sempre davanti a te, hai sentito Hunter e la gola che ti tradisce” Relias degludì.

“Come faremo a lasciare la città?” chiese aprendo e chiudendo nervosamente il ventaglio.

“Ho un piano, non ti preoccupare, però tu devi seguirmi passo passo e fare quello che ti dico, ce la puoi fare?”

“Ho scelta?”

“Vedo che ci capiamo, ora andiamo, dobbiamo essere al porto il prima possibile”

Forse era un miracolo ma in qualche modo la strada fino al mercato era sgombra, Relias si aggrappava disperatamente al braccio di Antimony con il terrore d’inciampare, probabilmente le faceva male ma la ragazza non fece una piega; manteneva un’andatura lenta ma decisa.

In men che non si dica entrarono nella zona commerciale furono sommersi dalla folla. Relias era abbastanza sicuro di non aver mai visto così tante persone tutte insieme.

Si sarebbe sentito soffocare se non fosse stato che per qualche ragione si era creato una specie di zona cuscinetto intorno a loro, Relias notò delle ragazzine additarle sorridendo eccitate e capì. Erano delle signorine altolocate, nessuno si sarebbe sognato di invadere il loro spazio personale.

Un mercante si parò sul loro cammino iniziando a vantare la raffinatezza della stoffa che teneva in mano e Antimony si mise ad ascoltarlo con un interesse che sembrava quasi genuino.

Relias in preda al panico notò dei soldati diversi metri dietro di loro, probabilmente di ronda, sentì la ragazza al suo fianco dire qualcosa ma era troppo impegnato a cercare di mandarle un messaggio telepatico per capire le sue parole. Poi dei soldi passarono di mano e con un gesto fluido la sua complice aprì un delicato parasole che si abbinava perfettamente al suo vestito verde. Riprese la sua strada con un sorriso rilassato a beneficio del pubblico trascinandosi dietro un Relias sconvolto. Fortuna che poteva nascondere il suo sconcerto dietro al ventaglio, erano proprio utili quei cosi.

Si lasciarono alle spalle la zona del mercato e Elias intravide un ostacolo apparentemente insormontabile.

“Antimony” sussurró agitato “Come facciamo ad arrivare al porto con le strade piene di soldati?”

La ragazza gli sorrise quasi intenerita e fece un cenno con il mento.

Un ragazzino con il volto che sembrava di porcellana li attendeva tenendo aperta la porta di una carrozza.

“Signorine!” Disse a voce alta a beneficio dei passanti “La vostra carrozza!” S’inchinò con un braccio dietro la schiena e compiendo degli ampi svolazzi con l’altra mano.

“Grazie Zephyr” rispose con una voce delicata che quasi non sembrava la sua, affidando al ragazzo. Salì raccogliendo la gonna con un gesto elegante che Relias si sforzò di imitare con scarsi risultati. In qualche modo atterrò dentro la carrozza sbuffando come un mantice.

“Amico, ci devi lavorare così non ingannerai nessuno” commentò Zephyr che si era infilato nel sedile davanti a loro chiudendo l’abitacolo. Si guadagnò così un’occhiataccia che non lo scalfì neanche.

“Com’è la situazione al trasure?” Chiese antimony.

“Tutto sotto controllo, Quartz si è lanciata in una delle sue migliori interpretazioni drammatiche, ha inventato una storia assurda su questa novellina imbranata che dovresti essere tu” ridacchiò coprendosi con grazia la bocca con una mano “E loro si bevevano ogni parola, forse per merito dell’ingrediente speciale che Diamond ha aggiunto alle bevande”

Relias assisteva a metà fra l’inorridito e l’ammirato, non aveva idea di come fosse capitato nelle loro mani ma altrimenti dubitava che sarebbe arrivato vivo fino al porto.

Non c’era mai stato di persona ma lo poteva vedere dalla sua finestra al castello.

Non era la stessa cosa.

La prima cosa che arrivò fu la puzza, così forte da far lacrimare gli occhi, poi c’erano le urla, ovunque degli uomini sbraitavano scaricando e caricando le navi i una danza che ai suoi occhi inesperti non aveva senso.

“Eccoci” annunciò Antimony. Davanti a loro un misero peschereccio era ormeggiato al molo.

“Eccoci dove?”

“Questo è il nostro passaggio” disse lei

“Non ti aspetterai mica di andartene tranquillamente dalla città?” lo prese in giro Zephyr a mo’ di saluto mentre scendevano.

La carrozza si allontanò sul molo e Antimony imboccò decisa la passerella. Relias la seguì un po’ più esitante, non era mai stato famoso per il suo equilibrio, fortuna che il parapetto della nave era vicinissimo al molo, altrimenti nulla gli avrebbe risparmiato un tuffo.

“Quale rara visione!” esordì una voce raschiante, un uomo con la pelle bruciata dal sole era emerso da sotto coperta e le rimirava con apprezzamento. Relias si affrettò a rifugiarsi dietro al ventaglio.

Relias assisteva a metà fra l’inorridito e l’ammirato, non aveva idea di come fosse capitato nelle loro mani ma altrimenti dubitava che sarebbe arrivato vivo fino al porto.

Non c’era mai stato di persona ma lo poteva vedere dalla sua finestra al castello.

Non era la stessa cosa.

La prima cosa che arrivò fu la puzza, così fote da far lacrimare gli occhi.Poi c’erano le urla, ovunque degli uomini sbraitavano scaricando e caricando le navi i una danza che ai suoi occhi inesperti non aveva senso.

“Eccoci” annunciò Antimony. Davanti a loro un misero peschereccio era ormeggiato al molo.

“Eccoci dove?”

“Questo è il nostro passaggio” disse lei

“Non ti aspetterai mica di andartene tranquillamente dalla città?” lo prese in giro Zephyr a mo’ di saluto mentre scendevano.

La carrozza si allontanò sul molo e Antimony imboccò decisa la passerella. Relias la seguì un po’ più esitante, non era mai stato famoso per il suo equilibrio, fortuna che il parapetto della nave era vicinissimo al molo, altrimenti nulla gli avrebbe risparmiato un tuffo.

“Quale rara visione!” esordì una voce raschiante, un uomo con la pelle bruciata dal sole era emerso da sotto coperta e le rimirava con apprezzamento. Relias si affrettò a rifugiarsi dietro al ventaglio.

“Siamo qui per la Tigre dei mari” disse Antimony tagliando corto.

“La tigre dei mari? E cosa ci vanno a fare due belle signorine come voi in quel postaccio? La vita di mare non è esattamente come la dipingono nei romaaargh” cacciò un verso strozzato trovandosi un pugnale alla gola. Antimony sembrava perfettamente a suo agio con l’arma in mano e spinse giusto un pochino facendo arretrare l’uomo che le si era avvicinato troppo.

“Mi rifiuto di pensare che non sai chi sono, per questa volta lascerò correre ma la prossima volta diventerai mangime per pesci”

“Signorina Antimony” rantolò l’uomo piagnucolando “Io non credevo…non vi avevo riconosciuta”

Il coltello si mosse leggermente verso l’alto facendo uscire una goccia rossa dal collo dell’uomo.

“Cosa vuol dire? Che se fosse stata un’altra ragazza sarebbe andato bene? Mi disgusti profondamente sappilo, adesso fa partire questa bagnarola, se non saremo alla Tigre in mezz’ora, potrei cambiare idea sul lasciarti in vita”

L’uomo quasi cadde fuori bordo nella fretta di voltarsi e issare l’unica vela.

Antimony afferrò Relias per un braccio e lo condusse al coperto, mentre il il capitano richiamava un paio di mozzi dalla banchina e si preparava a salpare.

“Tutto ok?” chiese sedendosi con lui su una bassa panca incassata nella parete.

“Come?” mormorò Relias tenendo la voce bassa per non farsi sentire dalla ciurma.

“Stai tremando”

Il ragazzo si rese conto che effettivamente era vero, raccolse le mani in grembo cercando di quietarsi ma non riusciva a togliersi di dosso una brutta sensazione: “Quell’uomo…” iniziò senza sapere come continuare “Ci guardava in quel modo…”

“Non gli permetterò di avvicinarsi” disse lei con uno sguardo di ferro.

“Lo so, lo so; solo mi chiedevo, succede spesso, intendo che gli uomini, sai…” non sapeva neanche lui cosa voleva chiedere, ne se voleva chiederlo in fin dei conti.

Antimony si girò vagando con lo sguardo: “A volte succede, ma non puoi lasciarti condizionare da queste cose, non tutti gli uomini sono così disgustosi, ne tutte le ragazze sono poi così innocenti”

Detto questo rimase in silenzio e così pure Relias. Sentiva di aver bisogno di riflettere ma non sapeva neanche lui in che direzione andavano i suoi pensieri. Sapeva solo che il braccio di Antimony intorno alle spalle era confortevole, quasi gli dispiacque quando si accostarono ad un’altra nave e il capitano del peschereccio, adesso tutto ossequioso li scortò fuori.

Un coro di grida li accolse sul ponte. Una serie di volti sorridenti si erano affacciati dal parapetto di un magnifico veliero.

Si trovavano in un’insenatura della costa dietro un promontorio, non erano troppo distanti dal porto. Diverse navi erano ancorate lì, tutte contraddistinte dalla stessa peculiare bandiera a sfondo nero.

“Pirati!” rantolò Relias.

“Tranquillo” disse Antimony afferrando una fune con un cappio alla fine “Hanno un accordo con il re, possono fare rifornimento qui ma non attaccano nessuna nave che entra o esce dal porto nel raggio di una certa distanza”

“Ma è impossibile, sono fuorilegge, sono criminali”

“Sono la tua salvezza” lo rimbottò lei finendo di assicurargli la fune intorno ai fianchi.

“Cos…” la corda lo strattonò verso l’alto e spiccò il volo lanciando un urletto decisamente poco virile.

Diverse mani lo afferrarono mettendolo in piedi sul ponte, lo sorressero quando le gambe lo tradirono e gli misero in mano premurosamente il ventaglio che doveva essergli sfuggito. Una muraglia di uomini lo circondava da tutte le parti, sorridevano divertiti e sicuramente lo stavano scrutando ma non gli trasmettevano lo stesso senso di disgusto del capitano del peschereccio.

Un tonfo gli annunciò l’arrivo di Antimony che regalò a tutti un piccolo sorriso, il primo che Relias le avesse visto fare.

Un tonfo gli annunciò l’arrivo di Antimony, che regalò a tutti un piccolo sorriso, il primo che Relias le avesse visto fare.

“Antimony!” Uomo con un meraviglioso tricorno diede una pacca possente sulla spalla della ragazza “È la prima volta che porti un’amica a casa non ce la presenti?”

“In realtà è un amico Capitano” disse lei massaggiandosi la spalla.

L’attenzione di tutti si focalizzó su di lui che arrossí fino alla radice della parrucca.

“Oh beh, ognuno ha i suoi hobby…”

“Smettila, è in incognito, dovevo farlo uscire dalla città” disse Antimony arrivando al fianco del ragazzo intimidito “Vi presento Relias terzo della stirpe dell’Algida fiamma, ventottesimo figlio del duca Gandremalius di Bolgate e probabilmente erede al trono di Dragstorm”

I suoi titoli gli ridiedero il un po’ di fiducia, almeno finché i pirati non scoppiarono a ridere.

“Hanno sterminato l’intera famiglia del duca e tu mi vuoi dire che uesta lisca di pesce è riuscita a fuggire?” Disse un pirata alto e slanciato dalla pelle color dell’ebano.

“Ho una sola domanda per te, Aude ‘white shark’ Hayes” disse Antimony calcando ogni sillaba “Mi hai mai sentito scherzare?”

Questo zittí tutti quanti. Ora guardavano Relias con occhi nuovi.

“Ok lo spettacolo è finito banda di perdigiorno, preparate la nave, qualcosa mi dice che è meglio levarsi di torno, quanto a voi due” disse rivolto ad Antimony e Relias “parliamo nella mia cabina”

Relias aveva sempre pensato agli alloggi delle navi come anguste stanzette incrostate di salsedine; descrizione che non si avvicinava neanche lontanamente alla cabina del capitano. Intanto era decisamente più grande della sua camera a palazzo, nella zona principale si apriva un’enorme finestra sotto la quale un lungo divano imbottito aveva l’aria invitante; sulla sinistra un grosso apparecchio tavolo in legno era ingombro di carte. Sulla destra un divisorio intagliato chiudeva quella che probabilmente era la zona da notte.

“Accomodatevi” tuonò il capitano sprofondando nel divano “Quindi questo sarebbe l’erede al trono? Sono Capitan Theodoric ‘the idiot’ Yules benvenuto a bordo!” Gli tese una mano callosa e Relias l’afferrò esitante. Il capitano aveva una stretta energica e una risata contagiosa. Si rese conto che in qualche strano modo gli stava simpatico.

“Piacere” si lasciò scappare, osando parlare per la prima volta in presenza di quei criminali incalliti.

“Piacere mio, mi chiedo cosa dovremmo farne di te però?” Guardò la ragazza bionda che osservava la scena a braccia incrociate.

“Lo devo portare a Lushingrath” Antimony si era versata una tazza di tè e lo sorseggiava appoggiata al tavolo delle carte.

“Immagino che tu non sia improvvisamente diventata patriottica, cosa succede?” Relias si fissava le ginocchia ma tese le orecchie a quella domanda, si chiedeva anche lui cosa spingesse Antimony ad aiutarlo.

“Ho ucciso gli uomini che lo inseguivano, senza sapere chi fosse, ormai ci sono dentro. Poi c’è anche un’altra questione, se le voci sono vere e tutto questo è opera di Barnabas, i nostri guai sono appena iniziati”

“Barnabas? Il capo dell’esercito? Se riesce a salire al trono potremo dire addio al nostro stile di vita e posti come il Treasure’s castle saranno un ricordo” mugugnò Theodoric “molto bene” disse quindi tirandosi in piedi “possiamo portarvi fino a Mumperport, poi dovrete trovare un altro mezzo di trasporto”

“Non vi chiedo altro”

“Mettetevi comodi, trova dei vestiti al ragazzo, per quanto gli doni in celeste sembra sul punto di soffocare in quel corsetto”

Il capitano uscì e Relias non sollevò gli occhi, Antimony aveva detto una cosa che lo aveva scosso profondamente. La sentì camminare finché la parte bassa del vestito verde non entrò nel suo campo visivo.

“Che succede?” Gli chiese sedendosi sui talloni per guardarlo in faccia. Una piccola parte del cervello di Relias si stupì della sua agilità pur indossando a sua volta un corsetto e diversi strati di sottogonne.

“Li hai uccisi” non era una domanda, ma una constatazione.

“Si” disse lei con voce ferma “Ho ucciso molte persone” aggiunse quindi.

“Pensavo che chi uccide dovesse essere per forza una persona malvagia”

“Io ti sembro malvagia?”

“No…”

“Sapere che ho ucciso qualcuno cambia qualcosa?”

“Li hai uccisi, ma mi hai salvato, non penso che tu sia malvagia è che mi sembra di aver vissuto finora sotto un velo mente adesso vedo tutto chiaramente”

Antimony sorrise, o meglio, piegò leggermente le labbra.

“Togliamo quel corsetto che ne dici?”

“Si per favore”

°°°°°°°°°°°

Mumperport era a tre giorni di viaggio via mare. Quando il profilo della città si stagliò all’orizzonte Relias si coprì quasi dispiaciuto. Si sentiva un’altra persona, ed in effetti lo sembrava anche; i pirati gli avevano dato dei vestiti comodi e una larga camicia bianca stretta in vita con una fascia. Frick, un pirata da un occhio solo con cui aveva legato una strana amicizia gli aveva tagliato i capelli tingendoli con il succo scuro di una radice e ora faticava a riconoscersi. La sera prima preso dalla depressione di doverli lasciare si era lasciato convincere a fare una follia e ora aveva il lobo sinistro dell’orecchio in fiamme a causa del suo nuovo orecchino. Quando lo aveva scoperto Antimony Frick si era dovuto arrampicare nella postazione di vedetta e passarci la notte per sfuggirle.

“Noi non possiamo andare oltre” disse il capitano salutandoli, una scialuppa li aveva portati a riva in una baia abbastanza lontano dalla città, ma sufficientemente vicino perché la raggiungessero a piedi “Da qui in avanti dovrete cavarvela da soli” scompigliò i capelli di Relias che stava combattendo la tristezza e baciò la mano ad Antimony prima di voltarsi e risalire sulla barchetta. Frick e Aude li salutavano sporgendosi dal parapetto; persino lo sboccato pirata di colore gli sarebbe mancato, nonostante le sue battute a doppio senso.

Non era abituato ad essere benvoluto dalle persone, era cresciuto in mezzo ad un esercito di figli con la matematica certezza di essere al mondo solo per fare numero; non era mai il migliore in nulla, in compenso era il peggiore in diverse cose, ma dal momento in cui aveva lasciato il palazzo aveva smesso di essere semplicemente il figlio numero ventotto, quelle persone lo consideravano singolarmente e non disprezzavano i suoi difetti.

Il capitano gli aveva insegnato a leggere una mappa e Antimony gli aveva mostrato come usare un piccolo coltello che ora teneva in uno stivale. Si sentiva completamente cambiato.

“Penso che arriveremo per il tramonto” disse la ragazza in questione scrutando il cielo, ancora gli dava una strana sensazione il suo nuovo colore di capelli, ma bionda era troppo facilmente riconoscibile, così li aveva tinti e raccolti in alto dietro la testa, adesso aveva una lunga treccia che le scendeva quasi fino ai fianchi che ondeggiava quando camminava, aveva lascaito perdere il bel vestitino verde, in favore di uno di pelle che le arrivava a metà coscia, mettendo in risalto il suo fisico asciutto.

Sulla strada un simpatico vecchietto diede loro un passaggio sul suo carro: “Il segreto” spiegò loro “è comprare il vino personalmente” possedeva una vecchia locanda e offrì ai ragazzi un letto in cambio dell’aiuto a scaricare il carro, Relias non si capacitava della loro fortuna.

“Cosa faremo domani?” chiese ad Antimony poco prima di coricarsi. Era intenta a spazzolarsi i capelli, il movimento della spazzola fra le ciocche adesso tinte di nero era ipnotico.

“Il capitano Theodoric mi ha dato il nome del suo contatto, dice che forse ci può procurare un passaggio sul treno per Lushingrath”

“Non ho mai preso il treno” disse piano Relias già mezzo addormentato.

“Ci sono molte cose che non avevi mai fatto” gli sembrò di sentì rispondere ma era già praticamente addormentato.

La mattina dopo al suo risveglio trovò vuoto il letto di Antimony, con sua sorpresa, stava già per impanicare quando la ragazza spalancò la porta con un calcio. Teneva in equilibrio un vassoio ricolmo di cibo, cosa che lo stomaco di Relias apprezzò rumorosamente.

“Mangia tutto!” gli ordinò “Avrai bisogno di energie oggi!” Relias addentò il pane con entusiasmo, era appena sfornato, era curioso che nella sua vita a palazzo avesse gustato ogni genere di prelibatezze ma non si era mai trovato ad apprezzare un pasto in quel modo. Antimony gli aveva procurato due mele e anche un po’ di bacon con un uovo, tutte cose che adorava. Finita la colazione la ragazza era sparita di nuovo ma tornò quasi subito con un farsetto che gli lanciò.

“Copri la camicia, è troppo appariscente per la moda di queste parti” anche lei si era procurata una mantellina. Era una bella giornata quando uscirono salutando il simpatico vecchietto, Relias sentiva che sarebbe andato tutto a meraviglia.

Ovviamente si sbagliava di grosso.

L’uomo che cercavano era noto come Il Ragno e quando se lo trovarono davanti fu subito chiaro perché: era rasato e aveva per l’appunto una di quelle inquietanti creature a otto zampe tatuata sul cranio. Si trovavano in una zona di periferia dove si concentravano le botteghe degli artigiani e i magazzini. Infatti si trovavano proprio in una di queste strutture, o meglio sotto. Antimony aveva parlato con diversi mendicanti e nel giro di poco tempo un ragazzino dalla mano veloce (lei lo aveva afferrato per il polso che già stava cercando di sfilare la borsa a Relias) li aveva informati che Il Ragno li voleva vedere. Erano stati condotti dentro l’edificio e fatti scendere per una scala tortuosa. Infine ora si trovavano in una stanzetta.

Eppure Relias non se l’era immaginato così. Il tanto temuto Ragno, tatutaggio a parte, era un ometto piegato dagli anni, con gli occhiali in bilico sul naso e un’andatura zoppicante. Era stato il più grande ladro acrobata della su generazione gli aveva spiegato Antimony, prima che cadesse dal tetto di un palazzo e si rompesse una gamba.

“Due biglietti per Lushingrath” ripetè con voce calcolatrice “Potrebbe essere difficile, molti stanno andando da quelle parti per l’incoronazione”

Relias stringeva già da un po’ il braccio di AntimonY quasi accucciandosi dietro di lei, le due guardie del copro del Ragno gli mettevano i brividi: si trattava di due uomini, rasati a loro volta, dai tratti orientali armati di un tipo di spada curva che non aveva mai visto.

Antimony lasciò cadere un sacchetto gonfio sul tavolo. In un battito di ciglia l’uomo sulla sinistra sfoderò la spada e lo squarciò tornando poi nella posizione iniziale. Il Ragno osservò le monete d’oro brillare alla luce delle candele.

“Siete molto decisi ad andare a Lushingrath, mi chiedo cosa dobbiate fare di così urgente” Antimony non abboccò ingaggiando con l’uomo un braccio di ferro fatto di sguardi freddi e inquisitori.

“Molto bene” disse lui infine “Avrete due posti sull’ultimo vagone del treno di questo pomeriggio, ma non vi posso garantire protezione dovrete arrivarci da soli, se non siete a bordo alla partenza niente rimborsi, adesso levatevi di torno”

Gli uomini li scortarono fuori per una via diversa da dove erano entrati e Relias si guardò intorno disorientato.

“Vieni” disse Antimony “C’è un posto dove possiamo nasconderci”

Lo condusse attraverso le stradine come se fosse stata a casa sua infine sbucarono in una zona impossibile da confondere “Ehm…Antimony” mormorò lui “Dov’è che ti vuoi nascondere con esattezza?” guardò terrorizzato i bordelli che li circondavano, gli facevano quasi più paura dei criminali che avevano appena incontrato.

“Qui” si limitò a rispondere lei puntando un edificio di colore verde, con il criptico nome di Garden dipinto sull’insegna.

C’erano piante ovunque all’interno e l’ambiente era molto diverso rispetto a quello del Treasure castle, tuttavia Relias puntò gli occhi a terra deciso a ignorare dove si trovavano.

“Antimony!” disse qualcuno, Relias si arrischiò a gettare un’occhiata ma se ne pentì immediatamente. Una donna con il seno più prosperoso che avesse mai visto stava andando loro incontro e il corsetto che indossava faceva ben poco per coprirla.

“Lilium” la salutò l’interpellata.

“Quanto tempo che non ti fai vedere suppongo tu sia qui per Fresia”

“Hai indovinato”

“E questo bel giovanotto chi sarebbe” Relias sentì distintamente gli occhi della donna posarsi su di lui e una goccia di sudore gelido gli colò lungo la schiena.

“Lui è con me” la bloccò Antimony e il ragazzo vide con suo enorme solievo un braccio pararsi fra lui e la procace prostituta.

“Oh, siamo possessivi…poco male, ti chiamo Fresia” dei passi si allontanarono. Relias sentì un braccio circondargli le spalle e si accostò leggermente ad Antimony, erano circondati da risatine e mormorii di diverso grado di oscenità e per quanto si sforzasse di concentrarsi sul tappetto sentiva inevitabilmente alcune frasi il cui ricordo lo avrebbe fatto arrossire a distanza di anni.

“Solo due minuti, tranquillo”

All’arrivo di Fresia non commise due volte lo stesso errore e enne gli occhi ben bassi.

“Antimony, vedo che hai compagnia stavolta, vuoi il solito”

“Il solito, più un piccolo extra”

“Sarà meglio parlarne in privato, seguitemi” Relias si lasciò guidare ubbidiente.

Alzò gli occhi solo fuori dalla sala, giusto in tempo per incrociare quelli di Lilium che li scrutava annuendo distrattamente ad un cliente in corridoio. Era uno sguardo glaciale che gli mise una strana ansia addosso.

“Siamo arrivati” annunciò Fresia. La stana era sontuosa, con un imponente letto a baldacchino. Fresia indossò uno scialle coprendosi, per la gioia di Relias.

“Cosa è successo? Ho visto dei manifesti per ricercati con il tuo volto, in nome è sbagliato ma sei innegabilmente tu” chiese praticamente subito, dopo aver chiuso la porta.

“Meno ne sai, meglio è, temo che venire qui sia stata una pessima idea, ti ho coinvolto”

“Non dire sciocchezze, le sorelle servono a questo!”

Relias emise un verso strozzato voltandosi di colpo: “Sorelle?”

“Anche Fresia è cresciuta al Treasure Castle” tagliò corto antimony “perdonami se non te lo presento ma non voglio coinvolerti più del dovuto”

“Certo, anche se suppongo c’entri con quei manifesti che ho visto in giro”

“Più o meno, diciamo che probabilmente ci sta cercando tutto l’impero”

Quella frase fece accendere una lampadina nella mente di Relias, era una cosa talmente ovvia che non aveva realizzato prima.

“Quella donna” disse precipitosamente “LIlium ti conosce”

“Beh si, non è la prima volta che mi nascondo qui” rispose antimony perplessa.

“Si ma lei ti conosce! Venire qui è stata una pessima idea! Se ha visto i manifesti sa che cercano una tipa che ti assomiglia, e tu ti sei presentata con i capelli tinti, è ovvio che ti stai nascondendo!” nella frenesia le aveva afferrato un braccio e la scuoteva leggermente senza capire come poteva non averci pensato prima.

“Credo il tuo amico abbia ragione” disse Fresia bianca come un pensa lo mentre guardava fuori dalla finestra “ci sono un mucchio di guardie che stanno entrando dovete andarvene subito!” Si voltò verso l’armadio spalancandolo. Spostò di lato i vestiti e spinse il pannello di legno.

Antimony imprecando peggio Aude afferrò Relias per mano e si precipitò nel passaggio trascinandolo con se.

Fresia entrò per ultima chiudendo le ante dietro di se e rimettendo a posto vestiti, infine richiuse il pannello e si trovarono al buio in quello spazio angusto. Il ragazzo non capiva cosa contavano di fare adesso. Sentì la prostituta trafficare tastando le pareti, poi il pavimento fece un sobbalzo e iniziò a scendere. relias soffocó un verso sorpreso aggrappandosi ad Antimony, poi realizzò che si trattava di un ascensore e fece per ritrarsi, ma le braccia della ragazza lo trattennero vicino mentre gli sussurrava all’orecchio.

“Ascoltami bene Relias e fai tutto ciò che ti dico, quando usciremo da qui avremo pochissimo tempo”

Il ragazzo ascoltò il piano con io cuore che batteva all’impazzata stringendole le braccia.

Razzionalmente capiva che era un’idea eccellente e chebdoveva a tutti i costi arrivare a Lushingrath. Eppure più passava il tempo e meno gl’importava del trono, del regno e di tutte queste cavolate, voleva solo che non succedesse nulla ad antimony.

L’ascensore si aprì su una altra stanzetta angusta.

“Quando siete pronti, prendete quel corridoio” disse fresia indicando la galleria a destra “vi porterà in una sala da té due strade più giù”

“Tu cosa farai?”

“Penso sia arrivato il momento di tornare nel Tresure, passerò qualche giornalismo nascosta da alcuni conoscenti poi ripartiró” la salutarono mentre imboccava l’altro passaggio.

Quando fu sparita Antimony estrasse il coltello.

Era arrivato il momento di mettere in atto il loro piano.

Il treno partì in orario come sempre. L’ultimo vagone da fuori sembrava come gli altri, ma la verità ignota ai più è che anche se sulle tabelle era segnato come treno merci, le autorità chiudevano anche tutti e due gli occhi sulla natura delle merci in questione. In quella massa di persone stipate nessuno fece caso a quei due ragazzi silenziosi che sedevano vicini in un angolo.

°°°°°°°°°

Lushingrath era la città più grande e affollata che Relias avesse mai visto, sfortunatamente non era lì per fare il turista. La stazione del treno era invasa di soldati che fermavano quasi tutti, in qualche modo erano riusciti a scendere dal treno senza farsi vedere ma si resero conto subito che qualcosa era diverso nei controlli. Forse era perché l’incoronazione era quel giorno e Barnabas non poteva più permettersi di perdere tempo, a venire fermati erano i ragazzi più giovani, le forze dell’ordine non pretendevano più di cercare antimony, volevano relias!

“Di qua” bisbiglió antimony infilandosi in un folto gruppo che si dirigeva verso l’uscita.

“Voi due, fermi!” Urlò qualcuno dietro di loro e la ragazza scattò in avanti seguita a ruota dal ricercato, zigzagando fra le persone che si erano voltate al richiamo. Uscirono dalla stazione senza voltarsi ma in piazza c’erano altri soldati; anche se non li avevano ancora notati era solo questione di tempo. Si lanciarono uno sguardo d’intesa prima di schizzare in due direzioni diverse. Dietro di loro altri soldati uscirono dalla stazione e additarono il ragazzo che aveva quasi raggiunto l’altra parte del piazzale.

“Prendetelo!” Le guardie più vicini si buttarono per cercare di tagliargli la strada mancandolo e lui imboccò una strada larga piena di persone. I soldati correvano dietro di lui lanciando urla di vario tipo: “fate largo!” “Fermatelo!” “Indietro!”

Ma il ragazzo in qualche modo riuscì ad arrivare in fondo alla strada correndo come un matto con i corti capelli scuri che.si agitavano al vento ogni volta che cambiava direzione.

Sfortunatamente la sua corsa finiva lì. Si bloccò guardandosi intorno in preda al panico, la strada successiva era completamente bloccata da un plotone attirato dalle urla.

“Vieni con noi e nessuno si farà male”

Le guardie lo avevano circondato ormai non poteva scappare, ma continuava a scrutare il cerchio di soldati come alla ricerca di una via di fuga.

Il Capitano Lierenant, da poco nominato, gonfiò il petto e si fece avanti. I colpi di stato non erano mai una questione semplice, ma quando per la prima volta era entrato in quella cospirazione diversi anni prima aveva capito che era la sua occasione. Si era giocato le sue carte con attenzione e aveva fatto carriera in breve tempo.

Catturare quel ragazzino sarebbe stato la ciliegina sulla torta, hai sottoufficiali e ai soldai semplici era stato detto che era coinvolto nella strage della famiglia reale, ma Lierenant conosceva la verità, quello era l’ultimo ostacolo per la riuscita del loro piano, catturandolo come minimo lo avrebbero fatto generale.

Così preso dai sogni di gloria allungò la mano incautamente e si ritrovò catapultato a terra prima ancora di capire cosa stesse succedendo.

“Fermi!” urlò rialzandosi intontito ad alcuni che avevano sguainato gli archi “Dobbiamo prenderlo vivo” si voltò rosso d’ira in volto. Non si sarebbe fatto cogliere alla sprovvista due volte.

Alzò la mano per colpirlo con il pomolo della sua spada ma una stretta di ferro gli bloccò il polso; due occhi grigi come il cielo invernale lo guardarono con una rabbia tanto intensa da farlo mettergli paura. Il ragazzo lo spinse via senza togliergli gli occhi di dosso.

Aveva la stessa espressione di una tigre che aveva visto una volta in un serraglio: forse era anche in trappola ma non si era arresa.

“Prendetelo!” ordinò puntandogli la punta della spada contro ma indietreggiando. I suoi uomini si lanciarono in avanti istantaneamente.

Pessima idea, due coltelli comparvero dal nulla nelle mani del fuggitivo, che iniziò a muoversi con una fluidità assassina tranciando arti e pugnalando persone, sembrava quasi danzasse. Una coreografia mortale che in breve gli creò un lago di sangue intorno.

Gli uomini indietreggiarono nuovamente e lui si guardò bene dall’inseguirli, abbassò le lame e rimase in guardia pronto a ricominciare. Aveva il fiatone ma era chiaro che era disposto a fare a fette qualcun’altro; e nessuno voleva essere quel qualcuno.

Adesso dava le spalle a Lierenant che si guardò intorno in cerca d’ispirazione. La sua attenzione fu catturata da un sasso grosso quanto una noce sul selciato, si chinò a prenderlo soppesandolo. In un tempo lontano, quando era ancora un ragazzino, era il campione di lancio del sasso nel suo quartiere, i bambini poveri sanno divertirsi con poco.

Fu un lancio così preciso che si stupì da solo.

La pietra centro la nuca del ragazzo stendendolo sul colpo.

Le sue truppe esultarono e lui accolse i complimenti con finta modestia: “Portiamolo al palazzo, il generale Barnabas sarà molto felice del nostro operato.

°°°°°°°°°

Barnabas osservò il prigioniero con attenzione mentre quell’idiota di un capitano continuava lo sproloquio senza fine sulla sua prontezza di riflessi e mira eccezionale.

Estrasse la spada con un gesto elegante e decapitò Lierenant di netto. Sentì nettamente gli altri sottoufficiali che avevano partecipato alla cattura trattenere il fiato.

La figura inginocchiata in catene davanti a lui non batté ciglio neanche quando il sangue del capitano gli schizzò addosso, anche perché coperta di sangue com’era non erano certo due gocce in più a fare la differenza. Se i suoi sottoposti avessero avuto almeno la metà di quel sangue freddo, conquistare il regno sarebbe stato un gioco da ragazzi.

“Chi mi sa dire dove ha sbagliato il capitano Lierenant” chiese cercando di mantenere la calma. Nessuno parlò.

“Io capisco” continuò “Che voi non abbiate mai visto, il ragazzino che cerchiamo e che possiamo contare solo su informazioni parziali” prese un respiro profondo “Lo so che lavorare così non è semplice”

Poi esplose.

“MA CONFIDO CHE SIATE ANCORA IN GRADO DI DISTINGUERE UN MASCHIO DA UNA FEMMINA! QUALCUNO MI SPIEGHI COSA CI FA UNA DANNATISSIMA RAGAZZA IN GINOCCHIO DOVE CI DOVREBBE ESSERE L’ULTIMO OSTACOLO CHE SI PONE TRA NOI E LA VITTORIA! MI RIFIUTO DI PENSARE CHE NON SAPPIATE CHE DIFFERENZA C’È TRA UN UOMO E UNA DONNA” tirò su quella che poi era Antimony per un braccio e la spinse contro uno dei suoi uomini “DIMMI, TI SEMBRA UN MASCHIO?”

L’uomo scosse la testa pallido come un lenzuolo.

“E TU” continuò, ormai non era più in grado di fermarsi “DIMMI DOVE SI TROVA L’EREDE! O FARAI UNA FINE ORRIBILE!” afferrò la ragazza per i capelli tirandole indietro la testa per guardarla negli occhi.

Quello che vide in qualche modo sedò la sua furia cieca.

La luce combattiva nei suoi occhi non si era spenta. Si limitava a ricambiare il suo sguardo con una rabbia fredda e repressa che le creava un alone quasi palpabile di pericolo intorno.

Infondo al suo essere si riscoprì ad ammirare una tale fredda e inarrestabile determinazione.

Lei non avrebbe parlato. Mai. Non avrebbe urlato e non avrebbe pianto indipendentemente dalla tortura che gli avesse infletto. Avrebbe aspettato. E alla prima occasione disponibile si sarebbe liberata e lo avrebbe ucciso. Lui e chiunque altro si fosse trovato sul suo cammino. A costo di strappargli la gola a morsi.

Non poteva lasciarla in vita, a nessun costo.

“Portatela via” disse infine “Imprigionatela, non datele né da mangiare né da bere e soprattutto non liberatela neanche in cella; stasera la giustizieremo durante l’incoronazione come traditrice della corona insieme agli altri generali che hanno rifiutato di unirsi a noi”

“Procediamo con il piano B quindi?” chiese una nuova voce.

Antimony si voltò verso il fondo della sala dove un giovane uomo che doveva avere qualche anno più lei sedeva sul trono con una gamba buttata mollemente oltre un bracciolo, vicino a lui la corona del regno di Dragstorm era posata su un cuscino di velluto rosso. O meglio due corone.

Antimony si dimenò nella stretta di Barnabas riconoscendolo. Quello era Dik dell’Algida fiamma, quinto figlio di re Lucas.

Non poteva essere!

Le guardie la trascinarono via.

Perché sterminare tutta la famiglia reale e lasciarlo in vita? Se fosse stata una semplice questione di successione al trono sarebbe bastato far fuori i suoi quattro fratelli maggiori, non sarebbe stata neanche la prima volta nella storia del loro regno. Ci doveva essere qualcosa sotto, e poi c’era la questione delle due corone.

Qualcosa non tornava. Al buio nella cella si raggomitolò in angolo. Sperava solo che Relias stesse bene.

°°°°°°°°

Relias si asciugò le lacrime e si tirò in piedi. Non poteva fare nulla per Antimony ma forse poteva ancora fermare Barnabas anche se non aveva la minima idea di come fare.

Girato l’angolo trovò una ragazza dei capelli rossi sorridente che sembrava aspettare proprio lui. Aveva un’aria familiare ma non riusciva a ricordarsi dove l’aveva già vista. Poi qualcosa scattò.

“Tu!” Disse additandola.

“Ehi” fu la spensierata risposta.

“Cosa ci fai qui?”

“Carissimo Relias” disse lei poggiandogli una mano sulla spalla “Temo di non essere mai stata una cameriera”

Era la stessa ragazza che solo una settimana prima lo aveva tirato fuori dai guai nel suo palazzo.

Aprì la bocca diverse volte senza riuscire a cavare una frase di senso compiuto: “Perché?” Disse solo in fine.

“Mi chiamo Lilibeth” rispose lei come se questo spiegasse tutto. Poi estrasse un libricino dall’aria antica dalla borsa aprendolo.

Relias rimase come un pollo a fissarla costernato; stava per dire, fare, lanciare qualcosa quando lei disse le ultime parole che si sarebbe aspettato.

“Li hai uccisi, ma mi hai salvato, non penso che tu sia malvagia è che mi sembra di aver vissuto fin’ora sotto un velo mente adesso vedo tutto chiaramente” esattamente le stesse parole che Relias aveva detto ad Antimony sulla Tigre dei mari. Non c’era alcuna possibilità che lei potesse saperlo.

Con il senno di poi il giovane principe si trovò a pensare che in diversi tratti del suo viaggio aveva pensato che nulla lo avrebbe più stupito, per poi essere smentito istantaneamente; ma l’incontro con Lilibeth fu senz’altro la cosa più assurda in assoluto. A parte l’incidente con il drago…

“Hai mai sentito parlare del libro delle risposte?” Chiese Lilibeth prendendolo a braccetto e incamminandosi. Relias era talmente tramortito che non oppose la minima resistenza.

Un campanello suonò nella testa del ragazzo.

“Non era tipo una legenda per bambini: di questo libro che rispondeva a tutte le domande che gli venivano poste ma solo da persone scelte da lui” lo tirò di lato ed entrarono in una locanda. La ragazza salutò allegramente l’oste e si mise seduta come se nulla fosse in uno dei tavoli in fondo al locale.

“Lili, tesoro, cosa porto a te e al tuo ragazzo?” chiese una donna di mezza età sorridendo alla ragazza.

“Non sono il suo ragazzo!” disse Relias.

“Il piatto del giorno” trillò Lilibeth e la signora se ne andò soddisfatta ignorandolo completamente.

“Io alloggio qui, avevo chiesto di tenermi libero un tavolo” spiegò anche se Relias non glielo aveva chiesto “Eccolo” gli passò un libricino “Il libro delle Risposte dico”

Relias se lo rigirò tra le mani e lo aprì.

Vuoto.

“Senti non ho voglia di scherzare, anzi devo andarmene, io…devo fare una cosa” lei annuì comprensiva.

“Capisco” riprese il libro e strizzò gli occhi facendo scena “Dimmi libro, cosa deve fare Relias di così importante?”

Quando lo aprì le pagine non erano più immacolate ma in una calligrafia elegante erano apparse un paio di frasi.

Deve liberare la prode Antimony dalle grinfie di Barnabas il cospiratore.

La ragazza si è scambiata i vestiti con lui per fare da esca e ora è stata catturata.

 

“Beh, questo spiega l’outfit” commentò lei accennando al vestitino con la mantellina che il ragazzo indossava e alla treccia che Antimon si era tagliata con un colpo netto per poi fissargliela dietro la nuca con una fascia. Lo scambio doveva essere totale.

Relias che si era alzato per andarsene ricrollò a sedere sulla sedia.

“Esiste davvero”

“Eccome se esiste, è così che ti ho trovato oggi ed è per questo che ero nel tuo palazzo quella notte, se non ti avessi intercettato ti avrebbero riconosciuto e ucciso quella sera; mentre oggi avresti fatto qualcosa di avventato finendo con il farti catturare”

“Eccovi il miglior sfornato di patate di tutta la città” disse la signora tornando con due ciotole “E questa è da parte della casa” aggiunse posando una candela sul tavolo “Godetevi il vostro appuntamento”

“Grazie!” esclamò Lili.

“Non stiamo insieme!” le urlò dietro vanamente Relias.

“Chi diavolo sei?” sbraitò rivolto a lei.

“Vengo da un paesino del sud e sarei ancora lì se il libro non mi avesse richiamato a sé, ho sentito il suo richiamo che mi ha portato a Fareshup, la città nel deserto, mi sono intrufolata nella biblioteca sepolta e quando l’ho toccato per la prima volta è stato tipo uno CATABLAM” allargò le mani simulando un’esplosione, alcuni avventori si voltarono dai tavoli vicini ma persero interesse in fretta “È stato come se mi avessero levato una benda dagli occhi, tutto aveva senso all’improvviso! Io sono nata per trovare questo libro e colmare i vuoti nella storia”

Evidentemente la fronte aggrottata di Relias era eloquente perché procedette a spiegarsi subito.

“A volte basta una persona giusta al momento giusto per cambiare il corso degli eventi, se tu fossi morto quella sera, Barnabas avrebbe avuto libero accesso al trono e avrebbe finito di distruggere questo regno!”

“Ma non potevi, che ne so, avvertire qualcuno del colpo di stato?” Relias annaspava cercando di starle dietro, in qualche modo la storia aveva senso ma semplicemente era troppo da assorbire tutto insieme.

“Secondo te qualcuno mi avrebbe creduto? E poi non è così che funziona! Io non ho potere decisionale, posso solo seguire quello che mi dice il libro”

“Vuoi dire che il libro voleva che tu mi salvassi?”

“Giudica tu: oh libro delle risposte, puoi mostrare al nostro incredulo Relias il primo messaggio che mi hai rivolto?” chiuse il libro e lo riaprì, le frasi erano sparite. C’erano solo tre parole sulla pagina:

-SALVA L’EREDE! –

“Adesso salviamo Antimony!”

°°°°°°°°°

Barnabas sentì la soddisfazione invadergli il petto quando la folla si zittì al loro ingresso sul palco reale, era quello il tipo di reazione che desiderava suscitare negli altri.

“Popolo di Dragsorm, l’attesa è finalmente giunta, stasera giustizieremo i traditori che hanno ucciso il nostro compianto re Lucas e sterminato la sua famiglia, mai credevo avrei assistito ad una tale manifestazione di violenza premeditata, ma gioite, perché il loro orrido piano è fallito! Un erede vive ancora e oggi lo incoroneremo come nostro nuovo re, lasciate che vi presenti il principe Dik primo erede della stirpe dell’Algida fiamma, figlio di re Lucas e della nostra amata regina Virginia; il nostro futuro sovrano!” la folla esplose letteralmente all’apparizione di Dik.

Antimony assisteva alla scena inginocchiata poco distante, di lì a qualche minuto Barnabas l’avrebbe decapitata. Gli altri condannati erano stati tutti legati a dei pali e accuratamente imbavagliati alla sinistra della piazza e attendevano inermi il loro destino. Quel pazzo di Barnabas aveva decretato sarebbero morti per lapidazione e delle ceste di sassi attendevano oltre la fila di guardie che li isolava dalla folla, pronte per essere scagliate. Non era riuscita a trovare una spiegazione per la seconda corona e ormai non aveva più importanza.

Stava per morire.

Aveva l’unica consolazione di essere riuscita a salvare Relias. Sperava solo che il ragazzo non facesse niente di stupido, aveva sbagliato a portarlo a Lushingrath, lui non c’entrava niente in quella storia, non voleva essere re.

“Popolo di Lunshingrath e tutti voi che siete venuti da lontano per assistere a questo evento memorabile, oggi il nostro regno entra in una nuova epoca” stava continuando intanto Barnabas “Troppo a lungo abbiamo permesso che costumi dissoluti crescessero nel nostro amato regno come un cancro, vi prometto che luoghi come i quartieri di piacere saranno solo un ricordo, riporteremo l’ordine e la decenza nelle nostre strade” si avvicinò ad Antimony che lo guardò con odio “Ad iniziare da ora, qui davanti ucciderò personalmente questa figlia di una prostituta che ha attentato alla vita del nostro futuro re e sarà solo la prima di una lunga lista” si sollevò un applauso scrosciante che si quietò quando estrasse la spada.

Sollevò il braccio e Antimony chiuse gli occhi.

Ma il colpo non arrivò.

Al contrario un urlo di dolore attraversò la piazza mentre la spada cadeva con un rumore metallico.

Barnabas si teneva il braccio urlando, non si vedevano ferite ma del sangue colava tra le piastre dell’armatura.

“La magia del sangue” urlò qualcuno.

“Non può ucciderla! Sono imparentati!”

“Tu!” strepitò Barnabas “Chi sei? Maledetta!”

Antimony era senza parole. Questo non se lo sarebbe mai aspettato.

E non si era aspettata neanche il drago rosso fuoco che atterrò alle spalle del palco reale con un ruggito.

°°°°°°°°

Una settimana prima

La bellissima principessa Ruby sbuffò spostandosi una ciocca da davanti gli occhi. Lo specchio restituiva l’immagine di una giovane donna dai lunghi capelli dorati che le ricadevano in morbide onde sulla schiena; il piccolo visino a cuore incorniciava due occhi blu scuro, come le profondità marine.

Conduceva una vita immersa nel lusso, i mobili della sua camera erano stati intagliati dai più grandi artigiani, i suoi vestiti erano intessuti della seta più morbida che si potesse immaginare e i suoi gioielli erano così brillanti da far impallidire le stelle. Aveva tutto ed era ben cosciente di essere fortunata.

Se non fosse stato per un minuscolo dettaglio.

Si alzò dirigendosi verso la finestra spalancata e si sedette sul bordo.

“Ancora niente?” chiese con la sua voce così melodiosa da far invidia agli usignoli.

“Niente!” ruggì il drago acciambellato alla base della torre, il grosso rettile era impegnato a fare una piramide di massi con aria svogliata.

Ruby emise un suono sconfortato.

Come da istruzioni, aveva atteso nella torre che l’eroe predestinato andasse a salvarla…per circa una settimana. Nessuno ha detto che bellezza mozzafiato e sangue reale vengano di pari passo con una pazienza infinita.

“Ma cosa c’è di così complicato nell’indossare un’armatura, affrontare un drago e salvarmi?” urlò pestando il delicato piedino sul pavimento “Non ho mai incontrato questo Dik dell’Agile Frangia o come si chiama, ma quando finalmente ci degnerà della sua presenza mi sentirà!”

Il drago ruggì contro il cielo rovesciando la montagna di massi con un favore: “Non lo so!” le fece il coro “Quando mi hanno contattato per la prima volta un paio di anni fa, i tuoi genitori me l’hanno presentato come un lavoro semplice, si trattava di dormire al sole fino all’arrivo dell’umanide in scatola che doveva sconfiggermi e poi avrei avuto un tesoro su cui acciambellarmi e tuo padre mi aveva promesso anche una grotta isolata!”

Quella scena si ripeteva da diversi giorni ormai.

All’inizio RubyScale la spaventava, o almeno era convinta di dover essere spaventava. Dopo tutto il possente drago di un colore rosso brillante era impressionante e circolavano storie terribili sulla sua razza. Questa situazione era durata circa ventiquattro ore, poi si era stufata e si era affacciata alla finestra per presentarsi.

Era venuto fuori che non solo le legende sui draghi avevano poco di vero:

“Quindi non mangi gli esseri umani?”

Ruby emise dei versi di disgusto rabbrividendo all’idea.

“No che schifo, siete fatti di quella strana roba molliccia, è indigesto!”

“E cosa mangeresti quindi?”

“Rocce ovviamente, sono particolarmente ghiotto di basalti” mostrò alla ragazza una roccia scura dall’aria compatta, prima d’ingoiarla in un sol boccone.

Ma che anche i draghi avevano la loro buona dose di convinzioni assurde sulle principesse.

“Quindi non è vero che per svegliarti bisogna baciarti?” era stata una delle prime domande del suo nuovo amico “E non ti esprimi cantando?”

“Assolutamente no! Che assurdità!” aveva risposto lei allibita.

Un altro momento di confusione c’era stato con i nomi: “Quindi ti chiami Perlazzurra? Tutto attaccato? Come dire; è…” il drago aggrottò le sopracciglia cercando le parole.

“Orribile lo so, tranquillo” rispose la ragazza, aveva preso l’abitudine di sedersi sul bordo della finestra con le gambe che penzolavano nel vuoto quando chiacchieravano, non era mai stata spaventata dalle altezze e dubitava che un salto di tre metri nel fossato potesse seriamente farle qualcosa.

“Quindi come funziona, i tuoi sono scemi o ti odiano e basta?”

Perla sospirò: “Se ascolti i bardi di corte voleva essere un omaggio ai miei occhi azzurri, ma dopo che mi hanno abbandonato qui mi sorge il dubbio che mi odiano in fin dei conti.”

“Si ma le perle le perle non sono azzurre…”

“Quello che dico anche io, ma non è la parte peggiore”

“Che altro potrebbe esserci?”

“Perlazzurra è il mio secondo nome”

“Il secondo? Adesso ho paura…”

“Il primo è Greta”

“Ouch” il rettile strinse le labbra e se fosse stato umana Perla avrebbe giurato che stava cercando di non ridere.

“Anche i miei genitori ci hanno dato dei nomi in base al colore delle scaglie” disse infine cambiando discorso con delicatezza.

“Hai fratelli quindi?”

“Tre, OpalScale, JadeScale e OnixScale” elencò contando sulle punte dei grossi artigli.

“Celeste verde e nero?”

“In realtà Onix è giallo” la guardò con aspettativa mentre lei corrugava il delizioso nasino confusa.

“Ma perché?”

“In realtà Onix doveva chiamarsi Amber, ma poi si sono resi conto che sarebbe stato l’unico con un nome di dieci lettere anziché nove e così lo hanno cambiato, gli piacciono le cose simmetriche…”

Si erano messi a parlare di un mucchio di cose e le ore erano passate diventando giorni; ogni mattina Ruby si alzava in volo andando in ricognizione e Perla aspettava trepidante con la speranza di vederlo tornare di chetichella annunciando che un cavaliere dall’armatura lucente stava cavalcando nella loro direzione.

Ma niente, i giorni passavano e i due iniziavano ad annoiarsi, per quanto andassero d’accordo dopo due settimane di attesa si erano stufati.

“Adesso basta!” sentenziò Perla una mattina spalancando l’armadio.

“Che succede?” chiese Ruby da fuori, la ragazza aveva chiuso la finestra e la sentiva spostarsi per la stanza ma non capiva cosa stesse facendo.

Perla si sfilò il vestitino rosa pesca appendendolo con cura poi ripescò dal basso un fagotto di abiti dall’aria decisamente più robusta. Con movimenti veloci indossò i pantaloni di pelle che avrebbero fatto urlare indignato suo padre e la corta tunica che avrebbe fatto piangere sua madre. Si intrecciò i capelli senza troppa attenzione per poi arrotolarsi la treccia scompigliata e fermarla con diversi fermagli, per quello che aveva in mente non poteva certo tenere i capelli sciolti.

Raccolse pochi oggetti utili in una borsa poi uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Si concentrò un secondo sull’uscio, complicati glifi s’intrecciavano sulla superficie legnosa fino a raccogliersi a spirale intorno alla chiave di ferro inserita nella toppa, ornata di un laccio di pelle che pendeva nel vuoto.

Perla poggiò le dita sul metallo girando lentamente: i disegni si ritirarono come risucchiati dalla chiave e quando furono del tutto scomparsi la tirò fuori dalla porta. Tanto per essere sicura, aprì il battente per un controllo veloce, una stanza spoglia dalla pianta circolare l’attendeva dall’altra parte. Soddisfatta girò sui tacchi passandosi il cordoncino intorno al collo e infilandosi la chiave nel colletto.

Spalancò la porta della torre con un calcio sotto lo sguardo incuriosito di Ruby.

“Ce ne andiamo!”

“Sì, come no”

“Sono seria” incrociò le braccia con il mento puntato in alto con decisione, poco importava che il drago fosse alto quanto la torre.

“Ma se lascio il posto mi posso dimenticare di essere pagato, io la voglio quella caverna” inclinò la testa di lato, era anche tentato in parte, se per qualunque ragione c’era stato un intoppo non ci teneva a passare gli anni successivi a guardia di quella torre per amor della correttezza, ma non avrebbe lasciato il suo posto senza un valido piano B.

“Ruby…sono figlia unica, qualunque cosa tu voglia in cambio devi solo chiederla, lo sapevi che oltre le colline ventose c’è un vulcano?”

“Un vulcano?” gli occhi di Ruby brillarono e Perla seppe di averlo in pugno “E cosa avresti in mente?”

La ragazza sorrise, finalmente avrebbe preso in mano il suo destino.

°°°°°°°°

“Chi di voi è Dik?” tuonò una ragazza minuta dai capelli scompigliati scendendo dalla groppa del drago.

Nessuno rispose ma diverse teste si voltarono verso l’erede al trono che si guardò intorno spaesato. Alla nuova venuta non servirono altri indizi.

“Che fine avevi fatto? Dovevi venirmi a salvare una settimana fa! Mi auguro tu abbia una buona spiegazione per il tuo ritardo!”

“Io…” lanciò uno sguardo a Barnabas.

“La principessa Perlazzurra suppongo” disse ancora tenendosi il braccio “Cosa ci fa qui?”

Perla marciò fino a piantarsi di fronte a lui, con il bel nasino sparato all’insù.

“Cosa ci faccio qui? Ma lo sa quanto ho aspettato in quella dannata torre? Sette giorni! Sette dannatissimo giorni!” disse scandendo le ultime parole scandalizzata.

“Forse sei tu che non capisci ragazzina, tornatene nella tua torre e quando sarà il momento Dik verrà a salvarti, non vedi che abbiamo cose più importanti a cui pensare?”

Con il braccio buono abbracciò la scena e lei sembrò notare per la prima volta il palco, la corona e la folla allibita.

“Un’incoronazione? E vi sembra un motivo valido per lasciarci a marcire in quella landa desolata dimenticata da dio? Io sarò anche una povera e fragile fanciulla ma fossi in voi non farei arrabbiare Ruby!” indicò il drago che sbuffò in assenso.

“Tanto più che con quella corona fasulla non vedo chi potete incoronare” disse il rettile con occhio critico.

“Che cosa?” gridò qualcuno nella folla.

“Sono un drago stupido umanide, me ne intendo di gioielli, quella corona è di ottone!” ringhiò il drago e la folla fece un passo indietro.

“Non so cosa diavolo stiate combinando” disse Perla spazientita “Ma non ho alcuna intenzione di partecipare a questa farsa, non sposerò nessuno se prima non sarò certa che sia stato legalmente incoronato!” nessuno osò fermarla mentre attraversava il palco “Vediamo di risolvere la questione, se questa è la corona di Lushingrath, l’incantesimo che la protegge è così potente che neanche la lava di un vulcano può intaccarla no?” chiese a Ruby che annuì “Molto bene, al volo!” Dik si buttò in avanti ma arrivò tardi, Perla lanciò in aria e il drago la squagliò con una fiammata.

Il triste mucchietto di ottone fuso ripiombò sul palco con un plof.

“Come volevasi dimostrare!”

“Cosa hai fatto!” le urlò il ragazzo.

“La cosa giusta idiota, non ti preoccupa neanche un po’ essere incoronato con una corona fasulla?”

Dik assunse una sfumatura verdognola guardandosi intorno come un cerbiatto davanti ai fari di un’auto.

Anche la principessa sembrò cogliere che qualcosa non andava: “Giusto! Perché non t’interessa? La tua corona è sparita e sembri tranquillissimo” lo scrutò inquisitoria “Cosa nascondi? Dov’è la vera corona?”

“Eccola!” rispose una voce squillante! Una ragazza dai capelli rossi salì sull’ormai affollato palco con la corona sottobraccio, seguita da: “Relias!” urlò Antimony precipitandosi in avanti, pur incespicando con le braccia legate dietro la schiena. Ma fu scaraventata di lato da una spallata.

“Stavolta non mi scappi piccolo bastardo!” Barnabas non aveva retto il colpo. Il suo piano era caduto in pezzi nel giro di pochi minuti e la colpa era tutta di quel ragazzino che non era morto quando doveva.

Non gl’importava più di nulla. Sapeva solo che voleva liberarsi di lui. Il primo sasso lo colpì alla spalla. Qualcuno nella folla si era impossessato dei cesti di sassi destinati alla lapidazione. Il secondo lo raggiunse al ginocchio che fece un rumore orribile e l’uomo crollò sul palco, cercando di trascinarsi via dalla parte opposta mentre gli altri si scansavano per evitare di essere coinvolti.

Ruby si erse in tutta la sua statura, bloccando il fuggitivo con una zampa, il lancio di pietre cessò all’istante.

“Adesso basta stupidi umanidi, se quello è il vostro re che sia incoronato, mi è stato promesso un vulcano e ora lo voglio!”

“Ma certamente” disse Lilibeth avvicinandosi a Dik con la corona, l’uomo si guardò intorno cercando una via di fuga ma da una parte Perla lo squadrava a braccia incrociate, dall’altra il drago gli mostrava le zanne con aria poco raccomandabile. Agitandosi sul posto non poté fare altro che chinare il capo e ricevere la corona.

Per un secondo non successe nulla.

Poi lanciò un grido straziante mentre una colonna di fuoco lo avvolgeva incenerendolo.

Lilibeth raccolse la corona dal pavimento. Con estrema tranquillità si avvicinò a Relias, che non visto si era avvicinato ad Antimony svenuta in terra e ora la teneva fra le braccia mormorandole qualcosa fra i capelli. Gli poggiò la corona in testa che brillò illuminata da un solitario raggio di luce solare arancione del tramonto.

“E anche questa è fatta” disse con soddisfazione.

°°°°°°°°

“Quindi Dik era il figlio bastardo della regina e di quel Barnabas” disse Perla sorseggiando il tè.

“Esattamente, lo stesso Barnabas che molti anni fa ha trascorso una notte con una prostituta senza mai sapere di aver avuto una figlia da lei”

“Sai, non ho davvero capito quale fosse l’erede che dovevi salvare, se Relias o Antimony”

“Non l’ho capito neanche io, e il libro si rifiuta di rispondermi, quindi immagino non sia importante” il libro delle risposte giaceva sul tavolo con aria innocente. C’era stata una piccola sommossa quando Lilibeth aveva dichiarato di non volerlo restituire alla biblioteca sepolta ma poi il loro nuovo re aveva inventato appositamente per lei la carica di Suprema Guardiana di Libri Magici di corte e nessuno aveva osato contraddirlo.

In molti avevano pensato che il giovane re sarebbe stato facilmente influenzabile ma si erano ricreduti subito. Relias si era mostrato deciso e inflessibile, ascoltava i consigli ma si riservava sempre l’ultima decisione.

“E Ruby?” chiese Lilibeth.

“Partito, il re gli ha detto di scegliere il vulcano che preferiva e lui è partito subito ad esplorare quelli segnati sulla mappa”

“Mi sembra giusto, e tu invece? Ancora decisa a sposarti”

Perla sorrise con l’aria di chi la sa lunga: “Non ci penso proprio, ho idea che il cuore del nostro giovane re sia già impegnato”

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Relias aveva trascorso ogni secondo del suo tempo libero al capezzale di Antimony. Secondo il medico di corte aveva ricevuto un brutto colpo alla testa che faticava a riassorbirsi e i maltrattamenti con la caduta dal palco non le avevano giovato.

Erano tre giorni che dormiva e provato dalla stanchezza Relias aveva finito per addormentarsi appoggiato alle coltri.

A risvegliarlo fu una carezza gentile fra i capelli. Aprì gli occhi e fu accolto dal sorriso più dolce che aveva mai visto. Antimony era sveglia, anche se con lo sguardo un po’ offuscato.

E gli stava sorridendo.

“Ehi” disse con la voce roca dal lungo sonno.

Prima di rendersi conto di cosa faceva il ragazzo si chinò in avanti cercando di baciarla.

Fu un disastro. I loro nasi urtarono e si morse involontariamente un labbro. Si tiro indietro rosso come un pomodoro succhiando il taglietto sul labbro, si vergognava come un ladro mentre il sapore metallico gl’invadeva la bocca. Antimony invece si lasciò andare ad una risata tirandosi a sedere sul letto.

Anche lei aveva un taglio sul labbro anche se non sembrava importarle. Relias si era ipnotizzato a fissare la lingua che leccava via il sangue e non vide arrivare le mani che gli presero il volto riportandolo vicino a lei.

Il secondo tentativo andò decisamente meglio.

 

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