Phoenix 4

Cow-t 10. M1. Safe.
Parole: 4000.
Prompt: Colpo di Scena.
Fandom: Originale.
Fu un risvolto inaspettato.
In seguito alla cerimonia dei test che si tenne il 296 anno sulla stazione di Phoenix, tutti coloro che avevano mai conosciuto Malakye si dissero sorpresi se non scioccati, i suoi stessi genitori lo dissero in un’intervista, per quel poco che durò.
Era iniziato tutto molti secoli prima della fondazione della città; gli umani avevano talmente avvelenato il loro pianeta da renderlo inabitabile, ma le più grandi menti del pianeta avevano individuato una soluzione: abbandonare la Terra e trasferirsi nello spazio. Ormai da tempo la tecnologia aveva reso l’esplorazione dello spazio possibile e diverse stazioni erano state costruite come ponte di lancio per raggiungere distanze sempre maggiori. Così era iniziata una lenta migrazione della razza umana, lasciando il pianeta morente dietro di se.
Tutti si erano sentiti estremamente fieri della soluzione e di come si erano adattati alla vita nello spazio.
‘La razza umana sopravvivrà!’ era il ritornello dell’epoca e tutti per un po’ erano rimasti convinti di aver fatto un grande passo in avanti nel futuro.
Poi avevano incontrato le prime specie di alieni, era stato un primo contatto pacifico e gli umani si erano inseriti tranquillamente nell’atmosfera interspecie della confederazione interplanetaria.
Contrariamente a quello che presupponevano molti film di fantascienza le specie aliene non sembravano ostili.
Ovviamente avevano usanze diverse, tipo gli abitanti del sistema di Vorlan che si suicidavano intorno a metà del loro ciclo vitale per un fatto di religione e Hunduriani che erano radunati un unica enorme democrazia dove ogni singolo cittadino aveva voce in causa. Su Fleria gli abitanti entravano in un ciclo di sonno decine d’anni in mezzo alla loro vita e Teranaret era abitata da ben due razze intelligenti; una che viveva sugli altissimi picchi delle montagne e una nelle profondità degli oceani, avevano vissuto ignorando la reciproca esistenza per migliaia di anni.
Gli umani erano stati accolti con ospitalità e non erano state portate loro discriminazioni anche se la loro razza era relativamente giovane rispetto a molte altre.
Tutto era filato liscio finché non era uscito il discorso del loro pianeta natale, solo allora gli umani si erano resi conto dell’immenso errore di valutazione che avevano commesso. Poiché il loro esodo agli occhi degli alieni non era sembrato eroico neanche un po’, al contrario, si erano fatti una fama di razza talmente stupida che non solo aveva avvelenato il pianeta su cui viveva, ma avevano anche preferito andarsene piuttosto che risolvere il problema.
Allora era nato il progetto Phoenix. Letteralmente volto a far risorgere la loro civiltà dalle sue ceneri.
Tutte le colonie terrestri avevano selezionato le loro menti più brillanti per inserirle nel programma; nell’ambiente protetto della città artificiale, situata in un luogo segreto dentro un asteroide in orbita controllata, loro rappresentavano il futuro della razza umana. L’idea era semplice, ma efficace, il loro obiettivo era riportare in vita la Terra e progettare un nuovo stile di vita a impatto minimo sull’ambiente. E qui entrava in gioco il programma di riproduzione mirata. La popolazione era stata divisa in fasce del quoziente intellettivo, ognuna delle quali lavorava su problemi di diversa entità.
Sin da quando era stata varata, secoli prima, i suoi abitanti erano chiamati a sottoporsi ad un test scientificamente costruito per poi essere inseriti nel mondo degli adulti.
L’età prestabilita era quindici anni e nessuno poteva sottrarsi. Infiniti erano stati i tentativi di imbrogliare il test ed tutti erano miseramente falliti, con conseguenze disastrose.
Phoenix era il centro nevralgico di tutte l’attività della razza umana e il loro segreto meglio custodito. Per mantenerlo tale non avvenivano contatti con l’esterno e agli abitanti non era concesso lasciarla.
Quell’anno, per l’appunto, era il turno di Malakye, della famiglia Jenkis. In quanto quarto figlio si trovava spesso a essere paragonato ai suoi fratelli. Le sue sorelle maggiori, Cambrysa ed Emilyse avevano raggiunto risultati incredibili, anche per la loro famiglia, i loro punteggi si erano posizionati al ridosso della successiva fascia. Suo fratello Damiran, il gemello di Emilyse invece era appena al di sopra dei loro genitori, era stata una delusione, ma aveva ottimi risultati nelle prove fisiche così era entrato nel progetto per il miglioramento fisico. Data la sua statura elevata e le eccellenti proporzioni, aveva dei valori molto alti e aspettavano da un momento all’altro che selezionassero una compagna con qualità equivalenti, così che potessero riprodursi al più presto.
Era un’occasione d’oro, il programma di riproduzione era stato chiuso per quasi quindici anni, per via della sovrappopolazione, ma avevano finalmente annunciato la sua riapertura. Malakye e la sua generazione erano stati fra gli ultimi a nascere prima del piano prevenzione delle nascite.
Malakye sfortunatamente non aveva una simile opzione, pur essendo discretamente alto, rientrava nella media e non si era mai distinto particolarmente negli sport, o nello studio; ormai era ben noto che il test fosse molto distante dalle valutazioni scolastiche, ma se avesse fallito nell’eccedere i risultati dei suoi genitori per lui non ci sarebbe stato programma di recupero; solo lavori pesanti nella fascia nera.
Il padre di Malakye era uno scienziato votato alla scienza medica che analizzava l’impatto di virus alieni sull’organismo terrestre individuando eventuali minacce. Sua madre era un ingegnere al momento impegnata a migliorare i motori stazionari delle stazioni più grandi per abbassare il consumo energetico. Entrambi erano nella fascia gialla, volta a elevare la qualità della vita attuale sulle stazioni orbitanti. Sparpagliata in vari rami anche il resto della sua famiglia era nella stessa fascia, salvo per suo fratello che adesso vestiva di blu come tutti gli adepti del programma di miglioramento fisico. E poi c’era ovviamente sua cugina Julith, l’anno prima aveva sostenuto il test fallendo miseramente; aveva totalizzato due punti meno di sua madre e nel giro di pochi giorni era stata prelevata e portata nei quartieri neri: la fascia nera, rappresentava gli inservienti, coloro che avevano fallito nel programma e venivano impiegati per tutte quelle mansioni necessarie alla vita ma ben lontane dal progresso della specie. Non avevano più avuto suo notizie ma questo aveva gettato un’ombra sulla sua famiglia.
Mai uno di loro aveva fallito il test, era motivo di grande vanto avere una statistica di fallimento quasi inesistente. Inoltre, circolavano storie inquietanti di famiglie che, dopo aver collezionato diversi fallimenti di fila, sparivano nel nulla.
Così l’ansia intorno alla prova di Malakye era cresciuta inesorabilmente, non c’era un metodo per prepararsi, anche perché i parametri del test erano il segreto meglio custodito di sempre. Nella paranoia i suoi genitori avevano preso insegnanti privati e lo avevano isolato dai suoi coetanei. Le sue sorelle lo interrogavano a sorpresa sottolineando ai limiti dell’isteria ogni suo errore e persino suo fratello aveva iniziato a buttarlo giù dal letto all’alba per farlo esercitare non sapendo bene come altro aiutarlo.
Il povero ragazzo aveva in nervi a pezzi, sin da quando era piccolo era sempre stato nella media e i suoi genitori sembravano rassegnati nei suoi confronti, gli avevano ripetuto per anni che doveva stare tranquillo e che bastava fare appena meglio di loro. Il loro tono condiscendente mandava in bestia il ragazzo, che già faticava ad adattarsi al sistema prestabilito e avere la sua famiglia già rassegnata al suo fallimento era una pugnalata. Ma teneva la testa bassa e accettava le cose come gli era stato insegnato.
Era sempre stato un bambino riservato, interessato per lo più alla biologia, era in grado di rimanere diversi giorni chiuso nel suo laboratorio e considerando la scarsa attenzione del resto della famiglia capitava anche discretamente spesso. Sarebbe stato felice di ottenere il minimo sindacale e passare il resto della sua vita in compagnia di organismi monocellulari.
Ma dopo Judith la situazione era cambiata e ora che il giorno era giunto pensava che avrebbe vomitato nel simulatore.
Era vestito di grigio come tutti i giovani e sedeva nello stanzone d’attesa tremando come una foglia, la fase di smistamento era lunga poiché ogni ragazzo veniva accompagnato singolarmente al suo simulatore per iniziare la prova, il test in sé non durava moltissimo, al punto che probabilmente i primi ragazzi entrati avevano già concluso.
“Ragazzo tutto bene?” Malakye sobbalzò, davanti a lui una donna dai lunghi capelli biondi e il sorriso gentile lo guardava in attesa, probabilmente lo aveva già chiamato un paio di volte “Non devi essere preoccupato, andrà tutto bene, adesso seguimi è il tuo turno”
Cercando di darsi un contegno s’incamminò dietro di lei. Non incontrarono nessuno nei corridoi, anche se passarono molti simulatori non si sentiva nulla, il silenzio era quasi assordante, infine si fermarono davanti ad una porta con una luce verde sopra, la donna passò una mano sul sensore e il battente scivolò via con un fussh.
“Buona fortuna!” gli disse prima che la porta si richiudesse e Malkye rimase solo.
Lo spazio all’interno del simulatore era poco, c’era giusto una pedana davanti alla porta poco più grande di un tombino, il punto dove si trovava ora il ragazzo; e di fronte a lui una poltrona imbottita dall’aria molto comoda. Ovviamente sapeva già cosa aspettarsi, aveva provato decine di riproduzioni dei simulatori, dopo l’incidente di Julith ne avevano installato uno anche in casa così che lui potesse passarci più tempo possibile.
Si accomodò, stendendo le braccia sui braccioli, e lasciò che la poltrona si rimodellasse per rendere la posizione più comoda possibile per la sua corporatura, infine s’inclinò all’indietro di quarantacinque gradi e ruotò di un mezzo giro posizionandolo davanti al grande schermo che occupava la parte posteriore della capsula.
“Ora le somministreremo un tranquillante così che la prova non sia compromessa” la voce uscì metallica da un alto parlante nascosto. Lo avevano avvertito anche di questo, tutti i candidati venivano ridotti ad uno stato simile alla trance per allontanare la tensione. In passato alcune famiglie per addestrare i propri figli li avevano sottoposti ad una dose troppo massiccia del farmaco causando loro diversi tipi di problemi: dall’assuefazione a danni nervosi; così era diventato illegale.
La migliore delle descrizioni non avrebbe potuto prepararlo allo stato di calma che si posò su di lui come una coperta. Per la prima volta in vita sua il peso delle aspettative gli fu levato dalle spalle, si sentiva come avvolto dall’ovatta, completamente isolato e al sicuro. In quel momento esisteva solo lui.
Dalle immagini apparirono sfocate sullo schermo, schiarendosi man mano per non ferire i suoi occhi con una luce improvvisa.
CONFERMI I TUOI DATI? UN EVENTUALE BUGIA A QUESTO PUNTO POTREBBE NULLIFICARE LA TUA PROVA.
Malakye tocco due volte lo schermo sensibile sul bracciolo della poltrona per confermare, poi il vero test ebbe inizio.
COMPLETA LA SEQUENZA
Diceva una scritta in altro; sotto delle griglie composte da nove quadrati ciascuno erano disposte in tre file da tre, però lo spazio nell’angolo in basso a sinistra era vuoto; altre quattro griglie erano disposte in colonna destra.
I quadrati all’interno delle griglie erano o bianchi o neri, disposti con uno schema apparentemente casuale. Eppure, gli ci volle poco per notare due cose, le griglie della colonna di destra contenevano la somma dei quadrati neri ma illustrata in negativo. Con un gesto lento selezionò la griglia che completava la sequenza e passò alla successiva.
°°°
“Com’è andata?” gli chiese suo padre a mo’ di saluto non appena lasciò il luogo della prova.
Il farmaco era ancora forte e Malakye camminava in uno stato di calma superiore, gli era dispiaciuto lasciare il calduccio all’interno del simulatore, ma quando era apparso il segnale di prova completa un inserviente era venuto a prelevarlo e condurlo fuori a braccetto.
“I risultati verranno resi pubblici in serata, alla fine dei test padre” gli rispose con una sicurezza che non aveva mai avuto. Nello stato di estraniazione in cui si trovava la sua famiglia gli appariva diversa, prima di quel giorno li aveva sempre visti come figure infallibili e autoritarie, pronte a sottolineare ogni suo fallimento.
Adesso suo padre gli appariva come un uomo di mezza età con la fronte sudaticcia e l’attaccatura dei capelli che iniziava a retrocedere, sua madre da una parte non sembrava neanche essersi pettinata, aveva raccolto la massa di capelli ricci con una specie di elastico allentato e si torceva le mani guardandosi intorno nervosamente, dietro l’orecchio aveva una macchia di fuliggine che nessuno gli aveva fatto notare.
Gli sembrarono improvvisamente umani, insicuri almeno quanto lo era lui.
“Si, ma a te com’è sembrato?” gli chiese ancora il padre incapace di tranquillizzarsi apparentemente, “un’impressione ce l’avrai avuta”
“Essendo questo l’unico vero test che ho sostenuto, non possiedo un metro di paragone” rispose accondiscendente, seguendo il percorso nervoso di suo padre davanti a lui con lo sguardo.
Il telefono suonò e l’uomo inchiodò guardando la moglie in preda al panico. Anche sua madre sembrava bloccata con la mano sopra la cornetta incapace di rispondere.
“I risultati vengono comunicati online” ricordò loro Malakye come se non fosse ovvio. Questo sembrò scuoterli.
Finalmente la donna alzò il ricevitore e lo schermo dietro l’apparecchio mostrò loro l’immagine di sua zia, la madre di Julith. La donna disse qualcosa e sua madre scosse la testa.
“Dice che non sa com’è andata e non si hanno ancora notizie dei risultati” sua zia si passò una mano sugli occhi e aggiunse ancora un paio di parole “Certo, ci sentiamo più tardi” disse sua madre; aveva appena posato il ricevitore quando tutti gli schermi a parete si animarono autonomamente all’improvviso.
Sua madre lanciò un gridolino e suo padre sfrecciò allo schermo principale intruppando in uno sgabello e cadde.
Malakye, estraneo all’agitazione, si avviò tranquillamente allo schermo principale dove lampeggiava la scritta: GRADUATORIA ONLINE.
Passò una mano sullo schermo che si schiarì, mostrando riquadri dei vari colori delle sezioni, per una scelta rapida. Suo padre finalmente si era rialzato e pigiò in preda al panico sulla sezione gialla e quindi sulla M, una decina di nomi apparvero con vicino le varie designazioni.
Malakye non era tra loro.
Suo padre si accasciò dove si trovava con un urlo frustrato e sua madre iniziò a singhiozzare.
“Non è possibile è un incubo” disse l’uomo dal pavimento “Dopo secoli di successi proprio mio figlio doveva fallire”
“Sono due fallimenti di fila, metteranno la famiglia sotto controllo” piagnucolò sua madre “Damiran perderà sicuramente il posto nel programma di riproduzione, Malakye hai rovinato tutto”
Il ragazzo sentì che l’ultimo commento velenoso avrebbe dovuto in qualche modo ferirlo ma il suono del campanello lo distrasse. Prima che i suoi genitori potessero fermarlo spalancò la porta ad un gruppo di uomini in grigio scuro: inservienti della sicurezza.
“Siete venuti a portarlo in zona nera?” chiese sua madre che era arrivata di corsa al suo fianco “Pensavo non arrivaste prima di domani, ma forse è meglio, almeno non ci sono curiosi” si affacciò alla porta controllando che nessuno stesse assistendo alla scena.
“Presto Malakye prendi le tue cose” gli ordinò suo padre “Prima che arrivi qualcuno!”
“Ci deve essere un errore” disse la guardia “Siamo qui per Malakye Jenkis”
“Ssssh!” lo zittì suo padre con poca gentilezza “Volete farlo sapere a tutti? Portate via il ragazzo e gli manderemo le sue cose poi!”
I due ufficiali si scambiarono uno sguardo d’intesa.
“Molto bene” disse quello a destra “Rinunciate alla vostra potestà sul ragazzo?” era una formalità, le famiglie potevano disconoscersi da membri che non rientravano nello standard, era una pratica socialmente accettata.
“Certo, certo” disse suo padre e sua madre si affrettò a confermare.
“E tu rinunci alla parentela con queste persone?” chiese l’ufficiale a Malkye.
Questo lo colse di sorpresa su diversi livelli, un po’ perché non si ricordava che qualcuno avesse mai chiesto il suo parere, un po’ perché era convinto che gli estraniati non avessero voce in capitolo. In fondo al petto sentì una punta di dolore, non voleva abbandonare la sua famiglia, ma se non lo volevano non desiderava neanche imporre la sua presenza.
“Sono d’accordo” mormorò con un filo di voce.
“Molto bene” l’ufficiale di sinistra si spostò allargando un braccio per invitarlo ad uscire “D’ora in avanti il tuo cognome non sarà più Jenkis ma potrai riceverne un altro in seguito, seguici pure i nostri uomini raccoglieranno le tue cose adesso, eventuali ulteriori contatti con la tua famiglia non saranno possibili. Concludi I saluti e raggiungi pure il veicolo in attesa.” Il ragazzo si voltò istintivamente verso I genitori ma sua madre si voltò platealmente ignorandolo e suo padre lo guardò severo scuotendo la testa bruscamente con le braccia incrociate. Questo concludeva la questione, si voltò verso la porta aperta lasciando per sempre la casa dov’era cresciuto.
Dopo che fu uscito l’ufficiale si voltò verso la coppia: “Dove possiamo trovare le sue stanze?”
“Prendete le scale in fondo a quel corridoio, c’è la sua camera e un laboratorio.” Alle sue parole un drappello di uomini si allontanarono lasciando indietro il resto della scorta e ben presto sparirono dietro un angolo.
L’uomo sbuffò: “Non posso credere ai soldi che abbiamo speso per quelle apparecchiature! Tutto inutile! Magari potremmo rivenderle…”
“Gli effetti personali del ragazzo saranno portati via insieme a lui.” Lo interruppe bruscamente l’ufficiale, quel avanzo d’uomo era proprio il tipo di persona che aveva portato alla rovina della loro società.
“Cosa? Come osa darmi ordini in casa mia!” L’ometto fece per fronteggiarlo ma si rese ben presto conto che l’ufficiale lo superava di tutta la testa, ed era armato.
Gli uomini lavorarono in fretta raccogliendo gli oggetti sparsi nella sua camera e impacchettando le forniture da laboratorio, evidentemente erano abituati a questo tipo di operazioni perché nel giro di un’ora le due stanze erano completamente vuote.
“C’è altro?” chiese uno di loro ai genitori e la madre indicò un micetto rosso intento a bere da una ciotolina.
“Aveva richiesto un gatto per l’anniversario della sua nascita, speravamo lo motivasse ai test e lo abbiamo accontentato, altre spese inutili! Avete preso le attrezzatre scientifiche, prendete anche quella bestia, non desidero occuparmi di animali, non so se lo può portare con se ma qui non lo voglio”
L’uomo annuì procedendo a prelevare il gattino, non più grosso della sua mano e a depositarlo in una gabbietta con le ciotole di cibo e acqua.
Si congedarono e lasciarono la coppia da sola, mentre I miagolii del gattino si allontanavano fino a cessare del tutto quando la porta si chiuse.
La porta non si era chiusa neanche da cinque minuti che il campanello iniziò a suonare istericamente.
“Avete dimenticato qualcosa?” chiese l’uomo spalancando la porta.
Però, invece delle uniformi grigie, si trovò davanti quelle arancioni dei suoi vicini.
“Congratulazioni!” trillò la donna rifilandogli un dolce di qualche tipo e cercando di entrare in casa “Dov’è il piccolo Malakye.
“Ma siete usciti di senno?” gli urlò spingendola fuori “Non avete un minimo di pietà umana?” sbattè la porta e in un impeto di rabbia scagliò il dolce contro di essa “Disgustoso” commentò rientrando in salotto.
Sua moglie era di nuovo al telefono con sua cognata che apparentemente era intenta ad urlare nella cornetta ma non la ascoltava. Aveva lo sguardo fisso sulla parete principale: la schermata era cambiata; non mostrava più i risultati della sezione gialla, ma quelli della sezione bianca.
Un unico nome era nell’elenco.
Malakye.
°°°
Ben presto Malakye si rese conto che non sapeva dove lo stavano portando, quella zona della città sembrava diversa, più silenziosa, non si vedevano persone per le strade e molte case avevano l’uscio aperto. Sembrava quasi che fossero state abbandonate.
Sebbene avesse perso l’orientamento già da tempo poteva supporre di trovarsi nella zona bianca, semplicemente non capiva come mai lo avessero condotto lì. Si aspettava di prendere un qualche ascensore che lo conducesse nella zona nera, nel sottosuolo.
Invece lo condussero in un grosso edificio circolare con una cupola. Era un edificio relativamente nuovo, avevano iniziato a costruirlo circa un anno prima, il ragazzo ricordava vagamente che i suoi genitori ne avevano parlato un po’ con la zia, supponevano fosse una nuova ala per i laboratori della fascia bianca, ma quella zona della città era preclusa alle fasce inferiori e quindi c’erano ben poche informazioni.
I corridoi erano semplici e spogli, alcune stanze aperte si rivelarono vuote quanto le case che avevano superato, a giudicare degli scaffali erano state dei magazzini. Infine, giunsero in una stanzetta con un divano e un paio di poltrone.
“Puoi riposarti qui” gli disse uno degli ufficiali che lo aveva accompagnato “Uno dei bianchi verrà presto a parlare con te”
La morbidezza della poltrona fu un sollievo, gli effetti dei calmanti stavano svanendo e iniziava ad accusare il crollo di tensione. Non si accorse neanche di essersi addormentato. A svegliarlo fu un colpetto di tosse. Il collo gli doleva per la postura sbagliata che aveva preso dormendo e gli sembrava di avere le membra pesanti quanto tronchi. Nella stanza c’era una donna.
Malakye riconobbe la stessa ragazza che lo aveva accompagnato al simulatore, preso dall’ansia della prova non aveva più pensato a lei.
“Ben incontrato di nuovo” gli disse “Il mio nome è Alexy”
“Piacere” riuscì a biascicare lui con la lingua impastata
“Traquillo” disse lei con il suo sorriso gentile “Il test e i farmaci fanno questo effetto a tutti, prometto che ti ruberò poco tempo così poi potrai riposare. Mi hanno detto che il risultato del tuo test è stato frainteso” passò una mano sul muro e quello presentò la schermata con i risultati dei test; invece di selezionare la sezione gialla, Alexy aprì quella bianca e il ragazzo si ritrovò a fissare il suo nome senza capire “Malakye, in virtù del punteggio eccezionale, il più alto nella storia di Phoenix, adesso appartieni alla fascia bianca, congratulazioni”
“Io…” non sapeva bene cosa voleva dire e si ritrovò a fissarsi le mani in silenzio. Non riusciva a decifrare le sue emozioni. Da una parte sentiva una bolla di soddisfazione che gli scaldava il petto. Dall’altra era ovviamente incredulo, i suoi parenti lo avevano sempre trattato con una certa pietà e accondiscendenza, come se fosse solo un povero idiota; al punto che lui stesso si era convinto che avrebbe sempre stagnato nella mediocrità. Provava anche una punta di paura, perché adesso non aveva idea di cosa sarebbe stato di lui. E in fondo, sotto a tutto c’era un formicolio che gli stava rapidamente risalendo la schiena, era libero; nessuno gli avrebbe più detto cosa fare, aveva guadagnato il suo posto nella società.
“Ho il tuo gatto!” Disse la ragazza con un sorriso, porgendogli la gabbia, il movimento svegliò la bestiolina che riprese a miagolare riconoscendo il suo padrone. “Per favore seguimi è ora di andare” disse Alexy.
Perplesso e ancora su di giri la seguì senza fare domande dentro quello che sembrava un grosso hangar e quindi a bordo di una navicella. Uno degli ufficiali che lo avevano prelevato gli consegnò la chiave della sua cabina e una gabbietta con il suo gattino, Darwin.
Alexy lo condusse verso una delle finestre che davano sullo spazio mentre la nave si metteva in volo.
“Dove andiamo?” riuscì a chiedere finalmente Malakye riportando la sua attenzione sul presente.
“Giusto quasi dimenticavo, devi sapere che le menti più brillanti della fascia bianca, della prima stazione Phoenix, avevano individuato nella sovrappopolazione la minaccia più grande per il progetto, perché in un ambiente protetto, senza nemici naturali, dove viene incoraggiata per ovvi motivi la riproduzione è facile che prima o poi le risorse e lo spazio vengano a scarseggiare”
“Ovviamente” commentò lui, non serviva una mente superiore per un calcolo simile, ma un dettaglio aveva attirato la sua attenzione “La prima stazione hai detto?”
Alexy per tutta risposta indicò fuori dal finestrino, ormai volavano sopra la cupola della grossa stazione e dalla loro posizione era ben visibile un grosso 4 dipinto su di essa.
Ci volle un secondo per capire le implicazioni di quel numero.
Malakye strinse le braccia intorno alla gabbietta di Darwin e annuì in silenzio.
“Vieni, ti mostro la tua stanza, sarai distrutto” disse Alexy mettendogli una mano sulla spalla.
La nave si allontanò nello spazio diretta verso la stazione di Aurath 5, la cui costruzione era iniziata quindici anni prima; mentre nel silenzio dello spazio la vecchia stazione svanì in una palla di fuoco.

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