Il regno di Ade – Capitolo 1

Cow-t 10. M2. SAFE.
Parole: 1535.
Prompt: Immagine 1.
Fandom: Originale.
Fred si tirò indietro rimirando il suo capolavoro.
“Chi è che si dovrebbe fottere?” chiese John appoggiandosi alla sua spalla. Fred se lo scrollò subito di dosso.
“Ma tutti no?” fece un gesto ampio comprendendo il sudicio vicolo che quel giorno era la loro galleria d’arte “E poi scusa pensa al tuo, cosa sarebbe? La tua ragazza?” sul muro di John un inquietante donna, o almeno Fred supponeva che lo fosse, lo scrutava. I capelli si allargavano dietro di lei allargandosi in tutte le direzioni come un ventaglio, trasformandosi in serpenti. Per qualche motivo il suo amico aveva ritenuto opportuno cancellarle gli occhi con una macchia di vernice nera.
“Imbecille è una gorgone!”
“Ah, bella scusa per nascondere che non sai fare due occhi simmetrici!”
John lo spintonò, ma furono interrotti da una sirena.
“Cazzo!”
“Via!”
Abbandonarono la sacca con le bombolette dietro di loro. Qualcuno stava urlando in un megafono dietro di loro, probabilmente gli ordinavano di fermarsi, ma l’unica cosa che Fred sentiva era il fiatone e il sangue che pulsava nelle orecchie. John davanti a lui correva quasi senza toccare terra voltando in continuazione. Era sempre stato una scheggia. Se non avesse conosciuto la strada probabilmente Fred lo avrebbe perso.
Una figura correva insieme a loro saltando da un tetto all’altro con una facilità inumana. I due ragazzi si stavano dirigendo palesemente nell’underbelly.
John svoltò ancora una volta e sparì alla vista. Fred senza esitare si buttò a piedi uniti nella grata che lo aveva inghiottito, rotolò per attutire la spinta. Quando si alzò in piedi John aveva già rimesso la grata al suo posto e lo stava già spingendo giù per il condotto. Si spinsero senza esitazione nel groviera di gallerie che erano le fondamenta della città alta. Le sirene sempre più lontano, ormai non potevano più penderli.
La figura osservava il vicolo dove erano scomparsi con un groppo in gola. Lentamente avvicinò il cellulare all’orecchio chiamando l’unico numero che aveva in rubrica:
“Io…l’ho trovato!”
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I quartieri ‘bassi’ lo erano letteralmente.
Quando i due giovani uomini videro nuovamente il cielo era notte e i loro affreschi ormai erano a molti chilometri di distanza, probabilmente già coperti da un nuovo strato di vernice.
John si stiracchiò inspirando rumorosamente.
“Kebab?”
“Di qualcosa dovremo pur morire!” Fred si sfregò le mani, mentre s’incamminavano più lentamente. Quella parte della città era messa male, forse da un certo punto di vista poteva essere considerata povera ma il vantaggio è che c’erano davvero pochi delinquenti, non avrebbero trovato un gran che da rubare dopo tutto.
Loro possedevano un furgone. Probabilmente in un’altra epoca era un qualche mezzo di trasporto, ma ormai da troppi anni giaceva abbandonato contro un muro mezzo caduto. Al loro arrivo tre minibot si allontanarono come insetti impazziti. Per un assurdo editto imperiale gli androidi che tenevano pulita la città in modo maniacale non risparmiavano neanche i sottofondi. In realtà il loro imperatore aveva emanato ben settecentonovantatre editti contro la sporcizia. Loro lo sapevano bene avevano speso un pomeriggio a contarli una volta.
“Forse domani dovremmo andare ai bagni pubblici” sentenziò John dopo aver annusato cautamente un’ascella.
“Decreto numero novantadue?”
“Chi puzza muore!” risero come due stupidi mentre si mettevano in fila davanti al chiosco dei kebab.
Un muretto ospitò il loro pasto di dubbia provenienza mentre osservavano gli altri clienti. Era strano pensare che tutte quelle persone tirate a lucido e in fila ordinatamente non avevano nulla. Ne avevano parlato molte volte, sdraiati vicini per scaldarsi. C’era qualcosa di sbagliato nel modo in cui tutto appariva perfetto e in ordine: case crollate ma niente calcinacci, uomini morti di fame ma lavati e rasati.
Ma erano discorsi dimenticati con il sorgere dell’aurora. Loro, tutto sommato, non stavano male. Non volevano molto e non avevano quasi nulla. Avevano qualche lavoretto occasionale che gli dava da mangiare, periodicamente si sfogavano con atti vandalici gratuiti, così tanto per fare qualcosa. Probabilmente prima o poi li avrebbero presi e quella sarebbe stata la fine delle loro avventure.
Fred alzò lo sguardo mentre lasciava cadere la carta unta, un minibot si precipitò subito a raccoglierla.
“John?”
John si voltò asciugandosi la bocca su una manica.
“Cosa? Ti è preso il momento sentimentale?”
“’Fanculo!” lo spinse giù dal muretto che già rideva.
“Ma no, Fred, anch’io ti voglio bene!”
L’interpellato era già diretto a grandi passi verso casa loro con i pugni in tasca camminando impettito, in realtà si stava mordendo la guancia per non ridere ma non gli avrebbe dato soddisfazione.
Una telecamera lo seguì fino ai confini del suo campo visivo. In una stanza dalle pareti coperti di schermi de occhi osservarono tristemente i due ragazzi.
Presto avrebbero finito di ridere, e in parte era anche colpa sua.
Kelesios
La città non era cambiata molto dall’ultima volta che l’aveva vista.
Nel corso dei millenni il centro della civiltà si era spostato in lungo e in largo per il globo; ma ormai da diversi secoli era situato in quella città di metallo e vetro che sorgeva in mezzo al deserto roccioso come un unico blocco. La chiamavano semplicemente Central City.
Kelesios era nato lì diverse volte. In quest’occasione in particolare il suo viaggio era stato molto lungo, la casa che gli aveva dato i natali si trovava dall’altra parte dell’oceano. Non era molto fiducioso, aveva quasi vent’anni e il momento della sua morte si avvicinava inesorabile ogni secondo che passava. Si trovava diviso fra la fortissima tentazione di gettare la spugna e attendere un’occasione più propizia e fare almeno un tentativo, giusto per non avere ulteriori rimorsi.
“Tesoro, sei in ascolto?” quella voce era come una stilettata al cuore: “Certo Agape, dimmi”
“Dovresti esserci quasi, la divinazione non è chiara ma vedo un vicolo e Kelesios? Stai attento, vorrei sbagliarmi ma penso di aver visto una gorgone!”
Il giovane uomo spense accuratamente il comunicatore prima di lasciarsi andare ad una serie di improperi irripetibili.
“Ma certo, quella stupida gorgone se ne sta rintanata per quattro secoli nella sua catapecchia e proprio oggi doveva uscire!” urlò contro il cielo mentre attraversava il tetto pestando i piedi “E perché non un minotauro? Non ne vedo uno da quasi mille anni, sarebbe ora di fare una rimpatriata!”
“Sei uscito del tutto di senno?” un serpente bicefalo lo guardava con una delle sue teste, comodamente drappeggiato intorno ad un tubo del riscaldamento. L’altra sembrava molto interessata al vicolo su cui si affacciava il vecchio palazzo che li ospitava.
“Non è un buon momento Giano, cosa vuoi?” anche la seconda testa si voltò a guardarlo.
“Lo sai! Hai sempre diritto di scegliere, l’oltretomba è incantevole in questo periodo” Kelesios lo guardò con odio, se un serpente avesse potuto ghignare probabilmente avrebbe avuto quell’espressione che ora illuminava la faccia da rettile del Dio delle scelte.
Lo afferrò per il collo senza il minimo riguardo e lo sollevò all’altezza del suo viso.
“Come ti ho già detto un migliaio di volte, io troverò quello stupido eroe e avrò la mia vita felice con Agape e ora levati di torno” lo scagliò con forza contro un comignolo e l’avatar sparì con un sibillo indispettito.
La voce del dio risuonò incattivita nell’aria: “Stupido mortale, solo perché hai vissuto così a lungo hai dimenticato il tuo posto, ma pagherai questo tuo gesto!” aveva ragione, in un attimo di rabbia aveva compiuto un gesto imprudente. Non era mai una buona cosa l’ira di un dio, neanche di uno minore come Giano.
Il tetto finiva improvvisamente come se un gigantesco coltello avesse tagliato il palazzo come un’enorme fetta di torta, quegli edifici non erano pensati per andare a spasso sui tetti e Kelesios dubitava seriamente che il signore e padrone di quel mondo malato e morente avesse la minima idea di quello che faceva quando aveva creato quella città.
Ad un osservatore disattento poteva sembrare bellissima: era pensata come un unico blocco quindi armoniosa nelle forme, nei colori e nell’architettura. Inoltre i robot pulitori la mantenevano in ordine in modo maniacale. Ma per gli occhi di Kelesios che avevano ammirato le meravigliose città del passato sembrava solo finta. Un enorme labirinto in cui correvano i mortali affaccendati dall’inizio alla fine delle loro vuote esistenze.
Anche se doveva ammettere che era molto che non vedeva dei mortali come quelli che stava osservando in quel momento. Ridevano minacciandosi con quelle che sembravano bombolette di vernice. Effettivamente una gorgone c’era; appena aveva visto il disegno si era tranquillizzato, doveva dargliene atto quel ragazzino biondo come il sole sarebbe potuto diventare un grande artista in un altro tempo.
Le sue riflessioni furono interrotte bruscamente da una sirena. L’avevano sentita anche i due ragazzi infatti prima che potesse voltarsi erano già spariti infondo alla stradina. Riprendendo le imprecazioni da dove le aveva lasciate appena un quarto d’ora prima si affrettò a inseguirli. Erano veloci, chissà da quante altre pattuglie erano scappati, ma nulla a che vedere con lui; concentrato com’era sui due mortali ci mise un attimo a rendersi conto di un fatto evidente: le sirene non li inseguivano più.
Osservò i ragazzi sparire nel sottosuolo poi tornò lentamente indietro. I robosentinella erano fermi davanti agli affreschi. Lentamente Kelesios si riportò il comunicatore alla bocca:
“Io…l’ho trovato!” Le lacrime scorrevano silenziose sul suo volto.

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