Il mondo fluttuante

Cow-t 10. M2. SAFE.
Parole: 5000.
Prompt: Wing!fic.
Fandom: Originale.
Tag: Major death. Kidnapping.
I venti d’alta quota gonfiavano i colorati stendardi da festa che abbellivano le guglie della bellissima Vordai, indiscussa capitale del cielo.
In quel particolare momento della giornata la luce dorata dell’alba tingeva gli edifici bianchi trasformandola in un gioiello luccicante. I cristalli che ornavano la cima di ogni pennone mandavano mille riflessi in tutte le direzioni.
Incantato da quello spettacolo Gale si lasciò accarezzare il viso dalla carezza gentile del vento.
“Tu ci farai ammazzare prima o poi!” Disse una voce spaventata.
“In effetti, non volevo dirtelo Elfed, ma questa volta potrebbero decidere di buttarci fuori bordo” commentò il ragazzo con leggerezza lasciandosi andare sdraiato sul tetto dell’osservatorio, era uno degli edifici più alti della città; la sua cupola era uno dei nascondigli preferiti di Gale: gli sembrava di essere effettivamente in cima al mondo, e in effetti…
“Non dirlo neanche per scherzo!” Elfed era il suo compagno di malefatte da quando gattonavano, puntualmente si lasciava trascinare in ogni genere di guai quando erano piccoli e crescendo la situazione non era cambiata di molto.
“Devi proprio stare così vicino al bordo?” la piccola terrazza, sul lato orientale della cupola affacciava sulla piazza principale “Lo sai che i luoghi alti non mi piacciono…” il poverino era rimasto incollato per tutto il tempo al muro vicino alla porta fissando il pavimento.
“Davvero? E dire che io li adoro”
“Ma non mi dire, dannatissimo pennuto!” Gale sorrise all’insulto, da chiunque altro sarebbe stata un’offesa mortale, ma Elfed lo chiamava così da anni, era il suo personalissimo modo di dimostrare affetto quando era spaventato a morte.
“Oh, penso che si siano accorti che qualcosa non va!” senza il minimo timore si avvicinò al parapetto osservando la folla sottostante, piccole figure entravano e uscivano dal Municipio di corsa rischiando seriamente di travolgersi a vicenda “Forse hanno notato la mia assenza” con un sorriso divertito vide un affannatissimo paggio raggiungere il primo consigliere sulla grande balconata al primo piano. Gli sussurrò qualcosa concitatamente e anche a quella distanza Gale lo vide sbiancare.
“Che succede?” Elfed era strisciato a terra fino a raggiungerlo e ora sedeva con la schiena contro il parapetto e gli occhi chiusi tremando come una foglia.
In sua difesa Gale doveva ammettere che era davvero un buon amico, nonostante le punizioni e la sua incredibile quantità di phobie lo aveva sempre seguito in ogni avventura.
“C’è un gran movimento intorno agli altri ragazzi, mi chiedo se inizieranno comunque…” sotto di loro una decina di figure avvolte in mantelli dai colori diversi si guardavano nervosamente sul bordo della balconata, si trattava degli altri Aviatori che sarebbero stati iniziati quel giorno. Gale non li conosceva direttamente ma dal colore del mantello poteva capire da dove venivano: verde pallido per Sesat, grigio perlato per Inashari, rosso carminio da Bihana, un viola molto intenso rappresentava Rilith, azzurro come il cielo indicava Jissidis e c’era anche una ragazza che vestiva il rosa pesca di Tirva Ren. Non sembrava esserci nessuno di Miho e Fleru, due città grandi quasi quanto Vordai ma c’erano due ragazzi con indosso l’arancione di Daphalise, cosa che non si vedeva tutti gli anni.
“Senti…” Elfed lo tirò a sedere vicino a lui “Dicevi sul serio prima? Non buttano davvero la gente di sotto vero?”
Gale gli sorrise spintonandolo:
“Che scemo, è perché mi dai sempre retta in questo modo che finisci nei guai! Ora sparisci!”
Elfed lo guardò con occhi sgranati a quell’ultima uscita:
“Come?”
“Ho detto vattene! E trova un bel posto da cui goderti lo spettacolo, non ha senso che ci facciamo punire entrambi” lo tirò in piedi e lo accompagnò alla porta.
“Ma io…”
“Lascia perdere e ricordati di portarmi i dolcetti quando finirò in punizione per sempre” senza aggiungere altro spinse il rosso oltre la porta e la chiuse. Dopo un attimo di silenzio lo sentì urlare dall’altra parte.
“Falli secchi!” poi un rumore di passi in corsa si allontanò fino a scomparire.
Si voltò verso il parapetto ridendo a pieni polmoni, si sentiva euforico e il cuore gli batteva così forte che sembrava seriamente intenzionato a spiccare il balzo prima di lui.
“Si va in scena” mormorò salendo in piedi sul largo corrimano.
°°°°°
Il giorno dei venti era sacro per gli abitanti del mondo fluttuante. Il primo del ciclo di cerimonie tradizionali che inaugurava il nuovo anno.
Non importa da quale delle moltissime aviocittà venissero, gli Aviatori venivano celebrati tutti allo stesso modo.
Per un popolo che aveva lasciato il suolo per trasferirsi a vivere fra le nuvole la loro esistenza era un segno del destino.
Il mondo era ormai coperto interamente da una coltre impenetrabile di nubi e non rimaneva alcuna traccia di terra ferma. Così ormai da centinaia anni le maestose aviocittà solcavano il cielo completamente autosufficienti.
Solo una volta l’anno si raccoglievano a Vordai, costruita sull’unica montagna che perforava il mare di nuvole e circondata da infinite piccole isole satelliti. Allora il mare informe color crema si riempiva di vita e i colori.
Era la ricorrenza più importante del calendario, nessun’ altra cerimonia era più sentita.
Sembra un concetto semplice, eppure quel testa vuota di Gale era riuscito a sparire.
“Dov’è?” tuonò il capo degli Aviatori, Storm.
I suoi uomini si guardarono come bambini colti sul fatto.
“Una sola cosa dovevate fare: controllare Gale a vista. Posso sapere come siete riusciti a farvelo sfuggire?”
“Storm” una voce ferma fece voltare la donna infuriata, i lunghi capelli neri sembravano mossi da vita propria mentre cercava una nuova vittima su cui sfogarsi.
Almeno finché non incontrò lo sguardo di Mistral.
Il primo conigliere era un uomo alto e, sebbene non fosse imponente quanto gli altri presenti nella stanza, emanava un tale carisma che tutti gli Aviatori presenti si quietarono all’istante.
“Serve a ben poco urlare adesso, se Gale non è presente inizieremo senza di lui, non possiamo far aspettare i nostri ospiti” l’uomo si voltò nuovamente verso la vetrata “Ora andate ai vostri posti”
Il brusio della folla si quietò al suo avanzare, il peso di migliaia di occhi posati su di lui non sembrò intaccare minimamente la sicurezza dei suoi passi.
“Benvenuti!” allargò le braccia come ad accoglierli tutti “Ancora una volta ci ritroviamo qui al sorgere del primo giorno della stagione dei venti per ammirare il primo volo di questi giovani. Essi rappresentano il nostro futuro. Molto tempo fa, i nostri avi abbandonarono per sempre il suolo e ora loro compiranno un ulteriore passo in avanti verso l’immensità del cielo” parlando protese una mano verso in avanti e tutti seguirono fedelmente quel gesto con lo sguardo.
Fu allora che vide la figura in piedi sul tetto dell’osservatorio, la videro tutti, l’imponente cupola sovrastava la piazza di fronte al Municipio.
Così preso dagli eventi non si rese conto subito di cosa accadeva.
Poi Gale saltò nel vuoto.
°°°°°
La folla trattenne il fiato.
Grazie al silenzio assordante l’urlo di giubilo del ragazzo risuonò fra le antiche mura bianche.
Aveva sognato quel momento per anni.
Il vento che gli frustava la faccia, la sensazione di libertà assoluta e il vuoto allo stomaco.
Vedeva il suolo avvicinarsi a velocità pazzesca ma per i suoi riflessi era niente.
Ad una decina di metri dalla morte certa spalancò finalmente le ali. Come nei racconti degli Aviatori veterani l’aria assunse improvvisamente una consistenza quasi solida riempiendole.
Era esattamente come se l’era sempre immaginato.
Quello che non si aspettava era il brusco strattone che pose fine alla sua caduta.
Quasi urlò per il dolore, rischiando di cadere sul serio.
Sbatté un paio di volte le sue belle ali ramate e il pavimento piastrellato riprese ad allontanarsi. Sentiva una fitta antipatica sotto l’ala destra ad ogni battito, ma in quel momento non gli poteva importare di meno.
Planò sulla folla che osservava rapita, probabilmente pensavano tutti che facesse parte dello spettacolo.
Il suo mantello bianco, simbolo della sua appartenenza a Vordai frustava l’aria dietro di lui brillando alla luce del sole. Gli dava molto fastidio ma se non avesse rispettato almeno quella tradizione suo padre lo avrebbe davvero ucciso.
Arrivato sopra la balconata si avvitò con eleganza per poi spalancare nuovamente le ali con forza. Fece una piccola picchiata avvicinandosi agli altri ragazzi e sfrecciò sopra di loro urlando a pieni polmoni:
“Che aspettate?”
Dopo un attimo di esitazione il ragazzo con il mantello blu mosse un paio di passi verso il parapetto poi iniziò a correre saltando nel vuoto.
Le sue ali bianchissime si spalancarono tenendolo su.
La folla scoppiò un fragoroso applauso accompagnato da urla d’incoraggiamento mentre i due ragazzi s’incrociavano a mezz’aria deviando all’ultimo per evitare lo scontro. La ragazza in rosa pesca con gli passò davanti con le ali castane raccolte intorno al corpo per una picchiata.
Uno ad uno saltarono tutti intrecciandosi nel cielo completamente dimentichi della coreografia che era stata insegnata loro.
In breve anche altri Aviatori più anziani spiccarono il volo e raggiunsero il loro nuovi compagni, il cielo sembrava quasi oscurato dalle loro ali.
In quel momento di gioia nessuno notò le labbra strette fino a sbiancare del primo consigliere né il modo in cui voltò le spalle allo spettacolo marciando dentro il Municipio con aria decisa.
Gale puntò in alto alzandosi sopra ai palazzi, tutta Vordai si stendeva sotto di lui.
Per quasi vent’anni aveva atteso con ansia che le sue ali crescessero fino a mettere le ultime piume e ogni singolo momento passato a guardare il cielo e desiderare di toccarlo era valso quell’istante. Il mare di nuvole si stendeva fino all’orizzonte in buona parte occupato dalle città galleggianti che arrivate per festeggiare il giorno del vento erano collegate in un complesso sistema di ponti e passerelle mobili.
E la cosa più straordinaria era che tutto quel cielo era lì per lui, aspettava solo che lo esplorasse.
“Ehi, razza di aviopirata, tuo padre si farà un mantello con le tue piume!” Hurricane gli sfrecciò vicino inarcandosi sopra di lui per poi riscendere al suo livello.
“È stato fantastico!” commentò Bora con il suo solito tono sognante mentre sbatteva placidamente le grandi ali nere.
Le due gemelle erano state iniziate l’anno prima, praticamente erano cresciuti insieme.
“Dite? Non penso che il ramato gli starebbe bene…con quella sua carnagione pallida dovrebbe puntare ad un colore più freddo” ora scherzava ma sapeva benissimo che come avrebbe toccato terra si poteva dimenticare di volare per un pezzo.
“Potrebbe persino venire a cercarti personalmente”
“Credete che indossi i pantaloni sotto quella specie di tunica?” quando era decollata per la prima volta Bora era cambiata, sembrava del tutto incapace di capire le preoccupazioni dei poveri mortali che la circondavano, non era per niente strano che si perdesse a fissare il vuoto per poi uscirsene con osservazioni simili.
Per un attimo l’immagine di suo padre maestosamente avvolto dalle sue ali castane dalle luminose sfumature dorate che volava verso di lui in mutande gli attraversò la mente.
Per poco non precipitò ridendo convulsamente.
°°°°°
In qualche modo era riuscito ad evitare le ripercussioni fino all’ora di cena.
Lui e gli altri ragazzi erano stati portati in trionfo per le strade con la tradizionale parata cerimoniale. Avevano eseguito l’antica cerimonia nel tempio dietro la città bruciando una delle loro piume imitati da tutti gli Aviatori: secondo la tradizione serviva a scacciare il pericolo delle cadute. Verso l’ora di pranzo si erano trovati al centro del grande banchetto in loro onore su Atheos, la più grande isola artificiale dei sobborghi di Vordai, che ospitava la maggior parte della produzione agraria della città. La tradizione voleva che ogni agricoltore offrisse parte del primo raccolto ai nuovi Aviatori; Gale si chiese seriamente se sarebbe riuscito a volare ancora dopo le dodici portate cerimoniali che rappresentavano i mesi dell’anno.
La risposta era sì, come scoprì nel pomeriggio: avevano volato ancora, sorvolando tutte le città a beneficio di chi non era riuscito ad accedere alla cerimonia principale. Stavolta si era comportato bene, aveva eseguito la coreografia assegnata, in qualche modo era riuscito ad atterrare senza uccidersi anche se l’ala destra gli doleva ancora e minacciava di cedergli da un momento all’altro.
Era stata una giornata indimenticabile.
Eppure Gale non vedeva l’ora che finisse, il lieve fastidio alla spalla si era trasformato in una continua fitta molto acuta dopo il secondo volo, nonostante si fosse divertito iniziava a sentirsi fortemente a disagio al centro dell’attenzione generale.
Voleva solo farsi vedere da un medico e sdraiarsi.
Quasi si era dimenticato cosa lo attendeva, quando rientrò finalmente nelle stanze della sua famiglia.
Suo padre lo attendeva comodamente seduto sulla sua poltrona preferita, da piccolo aveva sempre pensato che l’alto schienale la facesse assomigliare ad un trono, forse era per questo che il primo consigliere Mistral la trovava di suo gradimento.
“Siediti Gale” troppo stanco anche per il sarcasmo crollò su una sedia cercando dare sollievo alla spalla destra con un breve massaggio.
“Stai fermo! Potresti peggiorare le cose!” Terlan sembrò spuntare fuori dal nulla, il vecchio medico di palazzo era già anziano quando Gale era piccolo, sembrava che lo scorrere dei decenni non lo toccasse.
Con mani esperte gli fece poggiare il braccio sul bracciolo poi procedette a tastare l’articolazione dell’ala finché Gale non trasalì trattenendo il fiato.
“Come pensavo, hai un brutto strappo al muscolo e hai seriamente corso il rischio di disarticolarti l’ala. Non muoverti, devo tagliare la camicia e immobilizzare tutto” senza aspettare il permesso di nessuno tese la stoffa e la tagliò con un bisturi apparso magicamente tra le sue mani.
Con fare esperto gli fece chiudere l’ala e procedette a fasciargli buona parte del petto finché non fu sicuro che gli era impossibile muovere anche una piuma.
Gale era decisamente scomodo, non riusciva a chiudere perfettamente l’ala sinistra e la sensazione di non poter muovere l’altra lo mandava ai matti, ma non disse nulla.
Aspettava un segno da suo padre.
L’uomo aveva osservato la procedura senza proferire parola, con il viso poggiato contro un pugno e la testa leggermente reclinata. Anni di politica gli avevano donato un’espressione imperscrutabile.
“Vieni ogni giorno da me per rifare la fasciatura e fra una settimana controlleremo come sono le condizioni della lesione” sentenziò infine Terlan, sempre con il suo fare pratico raccolse le sue cose, fece un brusco cenno di saluto al consigliere e se ne andò brontolando contro la gioventù incosciente.
Adesso il silenzio era una grossa presenza ingombrante che li avvolgeva pesantemente gravando sui nervi di Gale, quasi sperava che il padre si mettesse a urlare invece di quello sguardo calcolatore che sembrava attraversarlo da parte a parte.
Ma Mistral non urlava mai, né in pubblico né in privato.
Lui osservava.
Le persone di fronte a quegli occhi penetranti si agitavano sentendosi in ansia, come se nulla potesse essergli celato.
Dopo anni di esperienza Gale aveva imparato che l’importante era parlare il meno possibile, si finiva col tradirsi da soli. Incredibilmente non dovette aspettare a lungo:
“Bello spettacolo” così come ogni cosa in lui, anche la voce di Mistral era neutra, allenata da anni di pratica.
“Grazie” mormorò senza fidarsi troppo della sua voce.
“Immagino che secoli di tradizioni non valgano niente ai tuoi occhi” si spostò accavallando le gambe e Gale quasi trasalì a quel gesto improvviso “Per tua fortuna, sembra che abbiano gradito tutti; nessuno ha pensato che il figlio del primo consigliere abbia scelto niente meno che il giorno più sacro in assoluto per fare uno scherzo” il suo sguardo lo inchiodò sulla sedia.
Tutti i suoi sforzi era focalizzati su un unico obiettivo.
-Non abbassare gli occhi! Non abbassare gli occhi! –
Mistral lo soppesò ancora un attimo prima di sospirare:
“Secondo la nostra legge ora che hai volato sei ufficialmente un uomo adulto, quindi sarebbe inappropriato punirti, lascerò che tu ti goda a pieno le conseguenze del tuo gesto.” Agitò la mano nell’arai come a scacciare la questione.
Gale batté le palpebre stupito; niente punizione?
“Buonanotte Gale” suo padre spostò lo sguardo alla finestra mettendo fisicamente fine alla conversazione.
“Notte” mormorò incerto prima di dirigersi verso la sua camera con aria trasognata. Nessuno lo fermò sul tragitto anche se raccolse una serie di sguardi tra la disapprovazione e l’incredulità.
Oltrepassato l’uscio, richiuse il battente immediatamente badando a non sbatterlo.
Ancora con la mano sulla maniglia rimase un momento in piedi al buio.
“Devo essermi schiantato e ora sono nell’Oltrecielo! Non c’è altra spiegazione…” gettandosi di faccia sul letto mise il punto a quella giornata lunghissima.
Davvero era stato così facile?
°°°°°
“Facile un par di piume!” La voce inviperita del ragazzo tagliò l’aria mattutina come un coltello.
Gale guardò scoraggiato la sua maglietta preferita. Era un regalo delle gemelle: fatta di una stoffa morbida e leggera che al tatto risultava sempre fresca e sagomata per seguire la particolare muscolatura che gli aviatori avevano sulla schiena. Non era una persona vanitosa ma adorava come il bianco opaco contrastava con la sua carnagione abbronzata.
Però in quel momento sfortunatamente rappresentava anche il suo peggior nemico.
Ecco, magari il suo secondo peggior nemico.
Subito dopo il braccio destro che quella mattina non riusciva praticamente a muovere grazie alle fitte lancinanti alla spalla.
Si era svegliato prestissimo proprio per questo motivo: nel sonno doveva essersi voltato fino ad appoggiarsi contro l’articolazione ferita, che ora sembrava trafitta da una lama incandescente. Anche solo uscire da sotto le coltri era stata un’impresa che lo aveva portato sull’orlo delle lacrime.
I pantaloni non avevano presentato particolari problematiche ma non aveva idea di come procedere per la parte superiore. Fosse stata la stagione calda sarebbe semplicemente uscito a petto nudo ma, a giudicar dal rumore tirava un forte vento.
Scoraggiato aprì la porta e quasi urtò Elfed con la mano alzata a pugno.
“Elfed!” Esclamò sopreso, non capitava spesso che il suo amico fosse in piedi di così buon mattino. Tratto che avevano in comune, ma con quelle fitte assurdamente dolorose dormire era praticamente impossibile.
“Buongiorno! Ho pensato che forse ti serviva aiuto…” non riuscì a completare la frase perché Gale gli si accasciò addosso lagnandosi.
“La spalla mi sta uccidendo, non riesco ad alzare il braccio, ho freddo e fame ma non posso uscire conciato così!” Depresso fece largo al suo amico.
“Non credo che la maglia sia una buona idea,” commentò Elfed osservando i vestiti sparsi in giro “Ti ho portato io qualcosa” tirò fuori dalla borsa un fagotto di vestiti che si rivelarono una camicia larga e una giacca lunga.
“Ma questi, non li posso mettere” forse a Elfed era sfuggito, ma mancavano i buchi per le ali!
“In realtà credo sia la soluzione migliore, terranno al caldo la spalla e puoi metterli senza grosse difficoltà, avanti chiudi anche l’altra,” disse Elfed pratico.
Poco convinto Gale infilò la camicia cercando d’ignorare la sensazione della stoffa sopra le piume, gli sembrava così sbagliato che aveva la pelle d’oca…letteralmente.
“Allora?” Elfed lo guardò con occhi da cucciolo.
Gale sospirò: “Grazie” disse infine “Almeno così posso uscire, quello che mi consola è che non può andare peggio di così”
Ovviamente si sbagliava.
“Che vuol dire rimandato?”
Northwind lo guardò dall’alto dei suoi due metri e passa, l’uomo era l’istruttore del corso dei giovani Aviatori, era quel che si dice imperturbabile.
“Sono sicuro che conosci le nostre usanze, i giovani Aviatori iniziano il loro percorso con un ritiro spirituale nel Santuario degli Spifferi” lo guardò dall’alto con aria di sufficienza “Capirà bene che non potendo raggiungere il Santuario semplicemente lei non può partecipare al ritiro”
“Ma fra una settimana potrò volare!” esasperato Gale stava urlando, gli altri novizi Aviatori in un angolo parlottavano fra di loro sbirciando la scena e a nulla servivano i tentativi di Elfed di tirarlo via.
Northwind non cedette di un millimetro, allungò la mano e il suo attendente gli passò una cartellina. Con la sua pelle scura incuteva se possibile ancora più timore ma Gale era ben oltre il buon senso ed era pronto ad afrontarlo se avesse dovuto.
“Potresti volare tra una settimana” disse scorrendo i documenti “Ma il suo medico dice chiaramente che non è una certezza” chiuse la cartellina con uno schiocco “E in ogni caso non importa, fra una settimana il Santuario sarà già isolato per il ritiro, mi auguro che l’anno prossimo sceglierai una linea d’azione meno avventata.
Gale prese fiato pronto a esplodere ma Northwind lo bloccò con un palmo alzato “Questo è tutto Gale!” girò sui tacchi e dopo aver spalancato le possenti ali bruno-dorate volò via seguito dai ragazzi svolazzanti che ancora lo additavano. Gale li guardò andare via friggendo di rabbia, non sentiva le loro parole ma c’erano pochi dubbi sul fatto che lo stessero deridendo: Gale il figlio maschio primogenito del grande Mistral, lasciato a piedi e rimandato di un anno. Non glielo avrebbero mai fatto dimenticare. Non era così che aveva immaginato il suo trionfale ingresso nel copro aviario.
“Gale…” il ragazzo scansò Elfed con poca delicatezza e corse via, sordo ai richiami del suo amico mentre si allontanava.
Gli faceva male la spalla e i muscoli protestavano ancora indolenziti per il volo del giorno prima. Uscì dalla cittadella senza rallentare, con i polmoni in fiamme e lo sguardo offuscato dalle lacrime. I vestiti gli davano un fastidio terribile, la camicia, pensata per un uomo senz’ali gli tirava intorno alle spalle, poggiando occasionalmente tenstione sulla sua spalla lesionata. Il cappotto, ben più lungo di quelli che indossava di solito gli frustava le gambe rischiando di farlo inciampare ad ogni passo. Imprecando ad un certo punto se lo sfilò e basta gettandolo in terra per poi continuare la sua fuga.
Infine iniziò a rallentare, più per mancanza di energie che per voglia di fermarsi. Ormai piangeva apertamente. Si appoggiò ad un muro e lentamente scivolò a terra. La spalla gli faceva così male che ormai il dolore non sembrava poter crescere ulteriormente.
Dopo chissà quanto tempo alzò gli occhi, se li sentiva irritati e gonfi, non si ricordava l’ultima volta che aveva pianto così.
Era in una piccola piazza deserta, i negozi erano chiusi, probabilmente per via dei festeggiamenti e in giro non si vedeva anima viva; in lontananza scorse il palazzo e si rese conto che non poteva scegliere momento peggiore per guardare. Una serie di piccole figure variopinte si stavano alzando in volo intraprendendo la lunga ascesa che li avrebbe portati al Santuario degli Spifferi.
Non pensava di avere altre lacrime ma due scie bollenti gli attraversarono le guance mentre chiudeva gli occhi appoggiando il capo all’indietro.
Esausto non si accorse neanche di scivolare nel sonno.
°°°°°
Una luce gli illuminò il volto all’improvviso, si sentiva le membri pesanti e aveva la mente annebbiata.
“Ben svegliato principe Gale” disse una voce stridula e graffiante che gli rimbombò nel cervello ancora intontito, gli sembrava di avere ovatta nel cranio e se voltava il capo troppo in fretta pareva quasi che gli occhi gli sarebbero rotolati fuori dalle orbite. “Evidentemente siamo stati troppo generosi con il sonnifero ma non si preoccupi, l’importante è che ora siete cosciente.” Le macchioline davanti a gli occhi svanirono lentamente lasciandogli intravedere tratti dell’ambiente circostante. Con la luce puntata in facia e nessuna altra fonte di luce la stanza risultava per lo più buia, vedeva vagamente I contorni di una porta alla sua sinistra ma per il resto l’unica cosa che distingueva erano I contorni del suo intelocutore.
Dalla voce sembrava un uomo, era di bassa statura e leggermente incurvato. Il suo naso, risvegliandosi, gli comunicò che si lavava poco ma era un’informazione di cui avrebbe volentieri fatto a meno.
Avrebbe volentieri condiviso con l’ometto quello che pensava di lui ma scoprì di avere la bocca sigillata con quello che sembrava nastro isolante.
“Data l’oscurità potresti non avermi riconosciuto, io sono… Permafrost!” Disse con aria teatrale spiattellando il nome palesemente inventato con effetto drammatico. “Proprio così, sono il flagello che tuo padre definisce ingiustamente terrorista. Inutilemente mi è stata data la caccia, io sono lo strato profondo, quello perenne, il mondo può mutare ma io no.” Disse agitandosi, sfortunatamente I suoi pallidi tentativi di rendere la vocetta stridula profonda e tenebrosa erano solo imbarazzanti.
Gale si trovò ad aggrottare le sopracciglia. Pur sforzandosi il nome non gli diceva nulla, ma la sua evidente confusione non aveva intaccato minimamente l’omino che continuava a blaterare di terra promessa, visioni mistiche, complotti governativi e altre cose abbastanza random. Ad un certo punto però disse un nome che Gale riconobbe.
“…solo noi, figli di Gea, sveleremo il complotto della casta regnante.”
I figli di Gea.
Molte cose si ricollegarono e improvvisamente Gale iniziò a sudare freddo.
Questa sottospecie di setta religiosa, professava l’esistenza di una terra emersa ancora esistente sotto il mare di nubi. Erano una massa d’idioti per lo più derisi dalla maggior parte della popolazione.
L’unico microscopico problema era che, tra le altre follie, erano convinti che gli Aviatori fossero frutto di esperimenti genetici condotti dentro la montagna di Vordai. Secondo loro il governo trafficava neonati alati proprio in occasione del giorno dei venti, distribuendoli nelle fasce alte della popolazione solo per mantenere il predominio e convincere le persone che era giusto vivere lontano dalla terra.
E aveva la pessima abitudine di rapire periodicamente degli Aviatori, legarli e buttarli oltre il bordo della città.
Altre persone entrarono nella stanza mentre Permafrost continuava a delirare di nubi finte e altre follie. Lo presero sollevandolo dalla sedia, Gale si dimenò cercando di sfuggire ma legato com’era non aveva possibilità, talmente era l’adrenalina che gli pompava in corpo che la spalla non gli duoleva quasi per nulla, mentre rifilava una testa ad uno dei terroristi, un sonoro crack lo ricompensò ma la sua vittoria ebbe vita breve.
Permafrost condusse il corteo per il corridoio arrivando ad una saletta dalla strana conformazione.
Un ballatoio con la ringhiera correva tutt’intorno alle pareti e sul soffitto sembrava montanta una carrucola con delle guide per far scorrere qualcosa. Gale non riusciva a capire bene cosa avevano in mente ma I suoi dubbi furono presto sanati quando I suoi rapitori lo condussero verso un angolo dove una della guide scendeva dal soffitto e un gancio, grosso e poco rassiurante lo attendeva. Riperese a dimenarsi ma stavolta gli invasati erano pronti a tenerlo fermo mentre una ragazza dai capelli corti, armeggiava con il gancio dietro di lui.
“Caro Gale,” disse Permafrost attirando la sua attenzione, “grazie a te porteremo la nostra crociata ad un livello superiore, e adesso urla per il tuo paparino.” Puntò un piccolo telecomando nero contro una telecamera sulla parete e apparve un puntino rosso. Gale spostò lo sguardo dall’oggetto al capo dei suoi aguzzini senza capire, poi lo vide voltarsi verso un pannello di controllo e premere un pulzante. Qualcosa si mise in moto dietro di lui e le corde si tesero sollevandolo da terra. Si agitò in aria mentre il gancio ragiungeva la guida sul soffitto e I galoppini di Permafrost esultavano.
“Non mi agiterei tanto se fossi in te,” disse il terrorista, “non vorrai rovinare il finale.” Tirò giù una leva e il gancio si mosse in alto trascinandolo fino al centro della stanza. Il loro piano ancora non era chiaro, ma poi Permafrost aprì un piccolo sportello rivelando un pulsante rosso che premette senza troppi complimenti.
Il pavimento si spalancò e Gale a momenti se la fece sotto.
Non c’era nulla sotto di lui.
Ovunque si trovavano, dovevano essere nel punto più basso dell’isola, le nubi li avvolgevano quasi completamente, a giudicare dal vento erano in movimento e il ragazzo ne dedusse che dovevano trovarsi su una della città che stava lasciando Vordai dopo I festeggiamenti. L’aria fredda gli ferì le guance bagnate e si rese conto che stava piangendo.
“Carissimi compatrioti che a lungo avete vissuto nella mensogna,” disse Permafrost con la sua vocetta stridula che mal si coglieva sopra il rumore del vento. “Il giorno della verità si avvicina sempre di più e quando il cielo oscurato da nubi finalmente si schiarirà le mensogne cadranno. Non più dovremo inchinarci davanti a questi mostri che si credono dei. L’uomo è nato senz’ali e tutto il resto è l’applicazione malvagia della scienza ad uno scopo meschino. Questi ibridi creati in laboratorio presto saranno smascherati per quello che sono: mostri. Allora, fratelli torneremo finalmente a poggiare I piedi sul suolo fertile, la terra ferma ci aspetta e ogni giorno è più vicina.”
Fece una pausa drammatica prima di rivolgersi a Gale.
“Tu ragazzo gioisci, perchè anche se vittima di un complotto iniziato prima della tua nascita stai per essere liberato. Con la tua caduta mandiamo un segnale chiaro al primo consigliere Mistral; ed è che noi non siamo arresi, il suo regno del terrore ha I giorni contati. E ora preparati al tuo ultimo volo.”
Gale urlò con quanto fiato aveva in corpo ma le sue urla non potevano certo ermare la mano che calò pesantemente sul pulsantedi rilascio.
Non successe nulla.
Permafrost colpì ancora il pulsante ma il gancio rimase saldo al suo posto.
“Perchè quest’affare s’inceppa sempre!” Esplose il patetico capo dei terroristi battendo ripetutamente sul pulsante mentre I suoi sottoposti gli si assieparono intorno cercando di femrarlo prima che danneggiasse seriamente l’apparecchio. “Quante volte ve lo devo dire? QUANTE VOLTE VE LO DEVO DIRE?! Un solo lavoro e non c’è mai una volta che tutto fili liscio! Ci credo che siamo bloccati su questo catorcio volante, se la rivoluzione terrestre dipendesse da voi gli uomini voleranno per davvero prima che riusciamo a rimettere piede a terra!”
Con tutti voltati di spalle Gale si guardò intorno speranzoso alla ricerca di una via di fuga. Il corrimano sembrava troppo lontano e anche dondolandosi il gancio gli dava poco gioco, senza contare che rischiava di far scivolare via la corda dal suo appiglio se oscillava dalla parte sbagliata.
Il panico lo attanagiò mentre si guardava intorno disperato.
I suoi occhi incontrarono la lente fredda della telecamere che ancora stava riprendendo ogni cosa.
In quel momento il gancio cedette sotto I pugni di Permafrost e Gale precipitò verso la morte praticamente inosservato.
Le nubi si richiusero su di lui e il suo copro pio mbò nel vuoto lasciandosi dietro solo la scia di goccioline delle sue lacrime.

Precedente Make yourself home Successivo Where were the werepigeons?