Handcuffs

Missione 5, prompt: solitudine

Caleb si appiattì contro il muro.

Personalmente non aveva nulla contro la notte di Halloween, ma per molte persone sembrava una scusa come un’altra per ubriacarsi e cacciarsi nei guai. Inoltre le strade erano piene di ragazzini incustoditi. Una specie di incubo.

Alquanto appropriato per una notte simile.

Ad ogni modo aveva ricevuto una segnalazione per rumori sospetti in un edificio abbandonato in centro. Probabilmente erano solo un gruppo di adolescenti impegnati in una prova di paura ma non poteva ignorare la cosa.

Così adesso era lì e già da qualche minuto scrutava l’entrata quando aveva visto distintamente una figura minuta sgusciare nel vicolo accanto al palazzo.

Allentò la pistola nella fondina e si avvicinò circospetto.

Un fracasso dentro l’edificio quasi gli fece prendere un infarto; doveva esserci un’altra entrata.

Teoria smentita subito, la persona che stava seguendo era ancora nel vicolo e la sua attenzione sembrava concentrata sulla scala antincendio a quasi dieci metri d’altezza; una parte sembrava crollata.

-Va bene, con calma Caleb, questa è da manuale- estrasse la pistola e chinò un secondo gli occhi a controllare che fosse pronta e carica e quando li rialzò il vicolo era vuoto.

“Ma che…?” Caleb si morse il labbro imprecando, come era possibile?

Uno scricchiolio lo informo che il sospettato ora si trovava sulla suddetta scala, contro ogni pronostico.

Fortuna che sembrava del tutto impegnato a intrufolarsi attraverso una finestra per controllare la strada sotto di lui; altrimenti avrebbe visto un attonito sbirro guardarlo a bocca aperta senza ritegno.

Caleb si riscosse.

Gettando il buon senso alle ortiche marciò intorno al muro verso l’entrata principale; c’era qualcosa che non andava, iniziava a sospettare che si trattasse di una delle decine di telefonate scherzo che arrivavano in centrale ogni anno.

Cosa ci trovava la gente di divertente in un’accusa per intralcio alla giustizia?

La ‘porta’ era solo un ricordo; dei nastri, un tempo gialli, con scritto, probabilmente, ‘keep out’ dividevano la proprietà privata dal suolo pubblico, e presto sparirono anche loro.

Il grande ambiente decadente era saltuariamente illuminato dalle poche finestre che non erano sbarrate; un tempo doveva essere un qualche tipo di magazzino, solo poche colonne dividevano lo spazio e alcuni montacarichi giacevano abbandonati, una stretta balconata e qualche traballante passerella correva nella parte alta.

L’attenzione di Caleb si concentrò sulla parete di destra, la finestra da cui era entrato il sospettato era ad almeno due metri d’altezza sopra il ballatoio, ma evidentemente le altezze non erano un problema per l’intruso. Infatti aveva già quasi raggiunto la parete posteriore, evidentemente quelle grate traballanti erano molto più solide di quello che sembravano.

Ad ogni modo l’unica preoccupazione di Caleb era di non fare rumore così attraversò in fretta lo spazio aperto aggirando gli scheletri dei vecchi macchinari.

La figura scese la scala senza accorgersi di lui ed entrò nel retro. E Caleb lo seguì, quel tipo aveva i minuti contati.

Dietro la porta l’ambiente era ingombro fino al soffitto e Caleb si trovò a procedere sbirciando in ogni corridoio con il cuore in gola. Era ridicolo da un certo punto di vista, era in servizio da quasi tre anni e non era successo praticamente nulla; poi la prima volta che usciva da solo si trovava in quella situazione surreale, e si era appena reso conto di non aver chiamato rinforzi.

Quel pensiero lo colpì all’improvviso, ma la sua mano non fece in tempo a posarsi sulla ricetrasmittente che intravide un movimento con la coda dell’occhio.

Si voltò di scatto puntando la pistola ma il passaggio era vuoto esattamente come quando lo aveva controllato un secondo prima.

Qualcosa lo colpì di lato gettandolo a terra con una tale forza da lasciarlo senza fiato.

Era una bestia enorme e puzzava in modo vomitevole. Caleb ebbe un meraviglioso primo piano di una bocca gigantesca farcita di denti acuminati. Fortunatamente l’animale non sembrava avercela con lui, al contrario, sembrava averlo urtato nella fuga, si rialzò ignorando l’impaurito agente e urtò una pila di casse producendo un disastroso effetto a catena.

Caleb si mise al riparo con il fiatone, doveva chiamare subito la protezione animali. Quando vide l’individuo che l’aveva condotto lì: era in piedi fra le macerie e la bestia lo avrebbe individuato presto.

Senza pensarci un attimo si gettò in avanti a braccia aperte e rotolò trascinando l’altro con se. Si aspettava una qualche resistenza ma quando finalmente furono entrambi dietro un vecchio bancone notò il filo di sangue sulla tempia, nella caduta aveva battuto la testa.

E si rese conto che aveva fatto un grosso errore di valutazione:

-Una ragazza? –

Un boato metallico e un ululato in lontananza lo informarono che l’animale aveva trovato l’uscita sul retro e vagava libero per la città.

Trasse un profondo respiro e prima che si risvegliasse ammanettò la ragazza al suo polso sinistro, gli sfuggiva ancora come avesse fatto a raggiungere la scala antincendio ma non l’avrebbe lasciata scappare.

Era ora d’informare la centrale.

La sua mano si posò con sicurezza sulla cintura…vuota. Tastò un paio di volte e infine si decise ad abbassare gli occhi. La ricetrasmittente era scomparsa, probabilmente era caduta nel trambusto.

E ora?

“Ok manteniamo la calma” doveva raggiungere la macchina, ma per prima cosa doveva staccarsi da quella ragazza.

Seconda brutta sorpresa, le chiavi erano sparite. Caleb svuotò inorridito il contenuto delle tasche ma non ce n’era traccia. Doveva essere un incubo.

Era da solo, in un edificio abbondonato, in un quartiere malfamato, ammanettato ad una criminale svenuta, senza poter chiedere rinforzi.

Qualche minuto dopo uscì dall’edificio sperando che nessuno lo vedesse. In qualche modo era riuscito a caricarsi in spalla la sua compagna di disavventure nonostante le manette, fortunatamente oltre che di statura minuta era anche sorprendentemente leggera. Attraversò la strada ed entrò nel vicoletto dove aveva nascosto la volante.

Era poco più che una viuzza chiusa schiacciata fra due condomini ingombra di secchioni dell’immondizia, eppure Caleb la scrutò attentamente per un intero minuto rifiutandosi di accettare ciò che i suoi occhi gli stavano comunicando: la vettura non c’era.

Forse anche a causa del suo lavoro Caleb non era molto portato per le parolacce, a suo parere era poco consono alla divisa. Preferiva conservarle per le grandi occasioni.

Caleb imprecò a denti stretti.

“Cos’era francese?” commentò una voce da dietro la sua spalla sinistra.

Ovviamente la ragazza si doveva svegliare proprio in quel momento.

Cercando di non essere troppo brusco la mise in terra e si trovò sotto l’esame di due occhi scuri.

“Ha il diritto di rimanere in silenzio” iniziò lui animato dalle migliori intenzioni “Qualunque cosa dirà potrà essere usata contro di lei in tribunale”

“E per cosa vorresti incriminarmi?” chiese lei senza fare una piega.

“Effrazione! Ha il diritto di permettersi un avvocato” in realtà mentre parlava stava cercando di pensare in fretta, il problema di cosa fare era rimasto “Se non può permetterselo le verrà assegnato un avvocato d’ ufficio” era così preso che si accorse del sorriso derisorio con un attimo di ritardo.

“Ora ti illustro cosa dirò al giudice” disse lei con un tono estremamente accondiscendente “Ero uscita per fare un po’ di spesa quando qualcuno mi ha colpita alla testa; quando mi sono svegliata ero ammanettata ad uno sconosciuto in un vicolo” gli sorrise ancora “Aggressione se non sbaglio”

La mascella di Caleb pendeva scandalizzata verso il basso.

“Io non ti ho aggredito! Questa è offesa a pubblico ufficiale!”

“È la tua parola contro la mia e io sono una povera, tenera ragazza indifesa” sbatté le ciglia, ma Caleb scosse la testa.

“No! Io ti ho seguito perché ti sei introdotta in quell’edificio e poi…giusto! Il cane!” quella tipa gli aveva fatto dimenticare per un secondo che non erano affatto al sicuro, c’era una bestia feroce a piede libero.

“Lupo Mannaro”

“Quello che è! Non possiamo rimanere qui, potrebbe essere ancora nei dintorni…aspetta cosa?”

“Non era un cane, era un lupo mannaro, ho ricevuto una segnalazione ed ero sulle sue tracce” adesso stava osservando da vicino le manette intorno al suo polso, aveva già provato a sfilarsele senza molto successo “E lo avrei anche preso, se non ti fossi intromesso, questo è intralcio alla giustizia lo sai?”

“Io sono la giustizia e tu adesso mi seguirai in centrale, non so se sei ubriaca o peggio ma non ti lascerò andare in giro blaterando di vampiri e simili” Caleb strattonò le manette e lei le strattonò in senso opposto.

“Figurati se i vampiri si fanno vedere in un quartiere dimenticato da Dio come questo, quello che hai visto è un lupo mannaro che ha violato il decreto restrittivo su zona popolate da umani, se non lo prendo potrebbe fare a pezzi qualcuno! Si può sapere di cosa diavolo sono fatte queste manette?”

Le loro voci erano andate crescendo e non erano passate inosservate.

“Che dite ragazzi una lite fra innamorati?”

Cinque o sei ragazzi dai vestiti scuri si erano affacciati oltre l’angolo e ora li osservavano divertiti.

“Devono piacergli le cose estreme: ammanettati e in pubblico, mi piacciono!” sentenziò un tipo con la parola ‘skull’ tatuata sul cranio rasato.

Caleb reagì in fretta: spinse la tipa sospetta dietro di sé ed estrasse il distintivo con la mano libera.

“State indietro! Polizia!”

“Anche in cosplay! Ora inizio a eccitarmi!” ululò skull ridendo in modo agghiacciante.

“State indietro!” una vocina minuscola, che suonava molto come il suo buon senso, ricordò a Caleb che non aveva mai realmente sparato a nessuno, ma, come obiettò il suo senso pratico, questo i teppistelli non potevano saperlo.

Puntò la pistola in avanti cercando di sembrare convinto e il silenzio calò all’istante.

Prima che la banda scoppiasse in risate sguaiate, skull si era addirittura aggrappato ad un suo amico con le lacrime agli occhi:

“Oddio…sto crepando” ansimò facendosi aria teatralmente “Ma che ti sei tirato? Passa, sembra roba buona!”

“Io non capisco…” Caleb per qualche oscura ragione nella fondina non aveva trovato la sua solita pistola e si era trovato a minacciare quei giovani delinquenti con un adorabile pelouche giallo “Cosa diavolo è questo?” si voltò verso l’altra estremità delle manette in cerca di supporto morale ma trovò solo un’espressione infuriata.

La ragazza si era sbilanciata in avanti per seguire i suoi movimenti e non sembrava affatto felice della cosa: “È un pikachu! Ma da dove vieni?”

“No…voglio dire la mia pistola…?”

“Folletti, si divertono a gettare acqua sul bagnato e lasciatelo dire amico, stasera sei una calamita per i guai, per caso hai rovesciato il sale?” con uno strattone poco femminile si riprese il suo braccio “Adesso che ti sei reso ridicolo lascia fare ad un vero poliziotto!”

Lo sorpassò a passo di carica ma Caleb si trovò ad incespicare per seguirla. Senza la minima esitazione si piantò davanti a skull.

“L’amico ti ha stancato tesoro?” per qualche assurda regola non scritta l’intero gruppo si sentiva in dovere di sottolineare ogni sua affermazione con una risata collettiva.

“Tutti mi avete stancato, quindi in virtù del fatto che siete solo dei miseri esseri umani vi voglio offrire la possibilità di scappare” faceva un effetto strano vedere quella figurina sul metro e cinquanta scarso fronteggiare il giovane uomo che era circa trenta centimetri più alto di lei.

“Ma io non scapperei mai da te mia cara, mica si trova spesso un bocconcino come te in un postaccio come questo” skull le sorrise.

Lei sorrise a skull.

“Non devi scappare da me ma da lui!” accennò con la testa all’ingresso dell’ormai molto affollato vicolo.

Caleb fissò incredulo un’immensa montagna di muscoli scolpiti che attendeva quieto di essere notato. Muscoli letteralmente scolpiti, si corresse. Era una statua, un’enorme statua dalle forme umanoidi, ma era alta tre metri.

Non poteva non averla notata fino a quel momento, anche perché aveva chiuso completamente l’unica via di fuga.

Nel silenzio Caleb si sentì strattonare per il polso.

“Rovina” chiamò la sua compagna di disavventure. Caleb fece un paio di passi prima di rendersi conto che parlava con la statua.

Due fari luminosi s’illuminarono improvvisamente all’altezza di due ipotetici occhi e una cavità più grande si spalancò appena più in basso.

“Uuuuuaaaaoohh” intonò la statua. Il suono basso e profondo rimbalzò da una parete all’altra. Doveva essere una qualche specie di parola perché lei annuì indicando i teppisti basiti.

“Si, pensaci tu, che questo incapace mi ha sigillato con qualche tipo di metallo e non posso fare nulla”

Contro ogni pronostico, l’essere immenso si spostò di sua spontanea volontà e lasciò uno spiraglio per farli uscire. Alle loro spalle si sollevarono le grida dei ragazzi intrappolati che improvvisamente sembravano essersi svegliati dallo stato catatonico, ma erano comunque troppo intimoriti per sfidare l’ammasso di pietra.

Prima di riuscire a mettere insieme una frase di senso compiuto Caleb si trovò seduto in un fast food due strade più in là.

L’ambiente era saturo di un odore indefinibile di cucinato: un misto di frittura, spezie forti e qualcosa che sembrava pollo.

“Quello…” biascicò.

“Un golem, avevo chiamato rinforzi prima di inseguire il lupo mannaro” la ragazza intinse una patatina nella maionese e riprese a masticare nervosamente. Il proprietario di quel posto ne aveva portato un immenso cestino senza aspettare ordinazioni; era un tipo strano: alto e dalle articolazioni nodose che indossava anche davanti alla friggitrice un pesante cappello di lana che gli cadeva sugli occhi.

Caleb si scosse.

“Golem, gnomi e lupi mannari. A quando le fatine dei denti?” sbottò “Ti rendi conto che sei nei guai…”

“Raflesia” lo guardò con immensa compassione “Non credo che vorresti incontrare le fatine dei denti, sono degli esserini orribili”

“Raflesia?”

“Sono una fata, le fate si chiamano come le piante. E quando dico fata intendo una normale. Non vorresti incontrarle le fatine dei denti, sono dei demoni di rango inferiore, sai che te li staccano e se li mangiano”

Sembrava seria e pareva una balla troppo grossa anche per lei.

“Quindi tu saresti una specie di poliziotto?”

“Non una specie, sono proprio un poliziotto, delle migliori forze dell’ordine del piccolo popolo, mi dispiace solo che non abbiamo più tempo quest’anno”

“Come?” improvvisamente gli si annebbiò la vista e cadde a faccia in avanti sul tavolo.

Raflesia sospirò schiccando le dita e le manette che non essendo di piombo in realtà non bloccavano in nessun modo i suoi poteri si aprirono con un leggero click.

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Caleb si svegliò di soprassalto. Era nella sua auto, parcheggiato sotto casa sua. Le chiavi erano ancora inserite. Doveva essersi addormentato subito dopo aver parcheggiato la macchina, ma non aveva senso. In più non si ricordava nulla della serata. Cosa diamine gli era successo?

Scese ancora intontito. Doveva cercare di prendersi delle vacanze, evidentemente aveva molta stanchezza accumulata.

Sbadigliando salì le scale e aprì il portone chiudendo fuori il mondo.

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Due figure osservavano la scena dalla cima di un palazzo.

“Glielo dirai mai?” chiese Rogue, il suo amico lupo mannaro che si era gentilmente offerto per attirare Caleb lontano dalla strada.

“Cosa? Che nostra madre ha perso la testa per nostro padre e lo ha ipnotizzato, ma quando poi siamo nati noi è stata scoperta e l’hanno incriminata? Non credo gli farebbe piacere saperlo”

“Forse, ma guadagnerebbe una sorella”

“Non guadagnerebbe niente, lui è un umano, hanno decretato che posso vederlo solo una volta l’anno per un’ora, esattamente a mezzanotte? L’ora delle streghe? No, voglio che almeno lui abbia una vita normale”

“Ma è solo”

“Non è mai solo!” si voltò ricacciando l’amarezza in fondo allo stomaco.

Ancora 364 giorni e avrebbe potuto vederlo di nuovo.

 

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