Il diamante e la polvere

Missione 1

La grande vasca traboccava di spumosa schiuma, bianca quasi quanto la sua pelle. Il colore era così simile che a volte s’incantava a guardare rivoli di acqua mista a sapone scorrergli lungo il braccio.

Quel giorno c’era stata un’altra cerimonia.

Lo avevano avvolto in un lungo abito di seta argentea e i suoi lunghi capelli di un biondo chiarissimo erano stati intrecciati con dei gioielli.

Le lunghe ore di preparazione lo entusiasmavano più della cerimonia stessa. Guardava lo specchio ammirando la sua immagine che cambiava come per magia; ciocca dopo ciocca, i suoi capelli andavano a formare complesse acconciature. Raramente gli applicavano del trucco, il suo volto perfetto era stato oggetto di molte poesie e c’era poco che si potesse fare per migliorarlo.

In genere i riti si tenevano poco prima del tramonto, quando la luce orizzontale del sole calante inondava completamente la sala del trono. Gli ospiti si raccoglievano ai lati del corridoio centrale, marcato da un tappeto color crema, e aspettavano.

Al suo ingresso il silenzio cadeva come una coltre. La folla aspettava riverente che attraversasse il salone e prendesse posto sul suo trono inondato di cuscini prima di chinare la testa in segno di rispetto.

In genere a quel punto interveniva il mastro di cerimonie con la sua voce monocorde.

Continuava a non capire bene il suo ruolo.

In quelle lunghe cerimonie in genere si limitava a sedere sul trono mentre i consiglieri tenevano lunghi e incomprensibili discorsi alla corte.

In alcune occasioni cantavano per lui.

Gli piaceva la musica.

Eppure non capiva.

Non che gli importasse.

I vestiti erano molto belli e gli venivano regalati gioielli meravigliosi e sempre nuovi per le cerimonie.

Ma la parte che preferiva in assoluto della sua giornata era il bagno: l’acqua aveva un profumo stupendo e la sensazione del calore che gli penetrava sotto alla pelle fino al cuore era impagabile.

Una grande finestra occupava un’intera parete, a volte la sera faceva spegnere le luci e ammirava la città brillare nel buio.

Di tutti i suoi gioielli era il suo preferito. Perché fra tante cose noiose e complicate una la sapeva con certezza: quella città, per qualche ragione, era sua.

°°°°°

Si affacciò circospetta oltre il cornicione perlustrando il tetto con lo sguardo. Era pronto come una molla a scivolare giù dalla scala antincendio se necessario. Non sopravvivevi cinque anni per strada se non imparavi a guardarti costantemente le spalle dalle pattuglie. La sua strategia era semplice: dava sempre per scontato che qualcuno lo seguisse, altri avrebbero chiamato la sua paranoia invece era solo buon senso.

Se ti stufi di controllare dietro un angolo allora sei stufo anche di essere libero.

Grazie al cielo il tetto era sgombro finalmente si poté concedere un po’ di relax; stese in terra la coperta che si era portata appositamente e si sdraiò con un sospiro.

L’aria della sera era tiepida e permeata da un lieve odore di pioggia. Gli piacevano i posti alti dove poteva sentire il vento scorrerle fra i corti capelli senza ostacoli.

Quel giorno era stata sgridato nuovamente.

Un tempo stava male e si sentiva mortificato ma poi si tirava su dicendosi che non importava, le cose importanti erano altre e che la sua vita gli piaceva molto; quindi non c’era bisogno di mortificarsi per un’unica persona.

Così si asciugava le lacrime e andava avanti.

Aveva funzionato anche fin troppo bene.

Ora non provava più nulla, si sentiva vuoto, aveva i suoi obiettivi, delle cose da fare, altre da evitare. Ma l’entusiasmo e l’allegria sembravano solo un ricordo lontano.

A volte nel mezzo della notte, steso al buio senza riuscire a prendere sonno, cercava di ricordare come ci si sentiva a fare una risata, o a piangere; ricordava che gli era capitato, ma sembrava la vita di qualcun altro, come una scena osservata da fuori.

Ad ogni modo qualcosa era rimasto.

Ogni giorno faceva in modo di salire in un luogo alto per ascoltare il canto del vento fra i palazzi.

Sopra di lui le stelle brillavano leggermente sbiadite dall’alone della città, ma la sua attenzione era rivolta in un unico punto.

In cima alla torre del palazzo che tutti chiamavano ‘Castello’ brillava una finestra.

Alcune sere era più brillante, altre a malapena visibile, ma ogni notte lei era lì a fissarla, le sembrava un unico diamante sopra un mondo fatto di polvere.

°°°°°

In genere non faceva molto caso alle altre persone.

Le sue cameriere cambiavano spesso, così come i valletti e alle cerimonie non parlava con nessuno.

Non avrebbe saputo di che parlare.

Anni prima osservandoli dall’alto del suo scintillante trono di cristallo aveva notato che bisbigliavano fra di loro e per un po’ era stato curioso di cosa potessero dirsi.

Nella sua biblioteca poi non mancavano i romanzi, ma gli sembrava così irreale che le persone potessero sostenere conversazioni così lunghe, che aveva sempre perso interesse dopo poche pagine.

I libri d’arte erano molto interessanti invece.

Nei suoi appartamenti aveva tutta una stanza dedicate alle sue opere, gli piaceva particolarmente l’arte astratta, ma disegnava anche molti simboli.

Questi ultimi in particolare interessavano i consiglieri che gli avevano chiesto da dove venisse la sua ispirazione ma non lo sapeva neanche lui, quindi lo avevano lasciato in pace.

Con i consiglieri a volte parlava.

Gli spiegavano come muoversi nelle cerimonie e gli portavano gioielli, vestiti, colori e qualunque cosa lui volesse.

Non si ricordava bene i loro nomi, ma dopotutto anche loro lo chiamavano solo ‘Veggente’ o ‘Vostra Altezza’ quindi non si sentiva in colpa.

Una volta però rimase colpito.

Gli fu recapitato il dono di uno dei suoi ospiti: in genere erano altri gioielli o soprammobili preziosi, anche abiti più raramente. Invece in questo caso si trattava di una coperta: il biglietto diceva che era stata tessuta a mano nella sua terra natale e apparteneva alla sua famiglia da generazioni.

Era meravigliosa.

Morbida al tatto e tinta di arancione e rosso scuro, ci si avvolse immediatamente e scoprì che era caldissima.

Era decisamente troppo piccola per il suo letto gigantesco, ma da quel giorno prese l’abitudine di avvolgervisi prima di infilarsi sotto le coperte, era quasi meglio della sensazione dell’acqua bollente…quasi.

Non aveva mai pensato che dormire fosse così appagante.

°°°°°

Finita la scuola, non sapeva che fare della sua vita, aveva solo una forte voglia di cambiare le cose. Non c’era voluto molto prima che incontrasse il gruppo.

Non si erano dati un nome per essere più difficilmente rintracciabili e ciò che li accomunava era l’obiettivo: cambiamento.

La città era piena di gruppi così, in fondo a nessuno stava veramente bene la divisione in caste.

Da una parte c’erano loro, la gente comune: studiavano, lavoravano, pagavano le tasse, a volte si sposavano, avevano figli che ricominciavano lo stesso circolo.

Poi c’era la parte alta della città, coloro che vivevano nel Castello: nessuno sapeva come era iniziato, fatto sta che per qualche ragione loro avevano il potere e non nel senso figurato del termine, vero potere.

Tutti gli esponenti della nobiltà avevano poteri incredibili.

Il che sarebbe potuto essere fantastico: avrebbero potuto cambiare la loro vita in mille modi, invece stavano rinchiusi tra quelle quattro mura, dando una festa dopo l’altra, quando scendevano in città era il panico, giravano racconti orribili su cosa accadeva a chi incrociava il loro cammino.

Ma loro avevano un piano.

Nei libri di storia avevano trovato una traccia: si raccontavano che periodicamente, circa una volta ogni cento anni, per ragioni ignote uno stato prevaleva sugli altri. Dopo infinite ricerche avevano stabilito che loro erano lo stato dominante da appena una ventina d’anni e che quindi anche se la nobiltà dei vari stati condivideva gli stessi poteri essi derivavano da qualcosa. Un qualcosa che periodicamente veniva spostato.

E ora si trovava nel loro Castello.

Non volevano scatenare una guerra. Erano persone pacifiche: ragazzi per la maggior parte, alcuni anche molto giovani, come lei. Volevano solo essere ascoltati e se per attirare l’attenzione dovevano rubare quest’oggetto l’avrebbero fatto.

Ma erano vane intenzioni, non avevano idea di come fare o dove trovarlo.

Almeno fino a qualche settimana prima.

“Celes” disse Cyprian, il loro capo; un uomo sulla quarantina con le spalle larghe e il volto deciso. L’idea dei nomi falsi era sua, ed era lui ad avvicinarli assicurandosi che non si conoscessero, così che non avrebbero avuto modo di raccontare nulla se li avessero presi.

“Grazie al sacrificio di Jake ora sappiamo come si chiama l’oggetto che stiamo cercando” abbassarono tutti gli occhi. Jake era un ragazzo, convinto di essere un playboy, che chiamavano così perché faceva sempre tardi, non sapevano neanche loro come era riuscito a conoscere una delle cameriere di palazzo e ci era uscito un paio di volte.

Era stata la sua ultima impresa.

“Dobbiamo completare il piano anche per lui. Prima che lo sorprendessero in quel vicolo, mi ha comunicato che la sua cameriera lo voleva incontrare a palazzo e che avrebbe potuto passare quando portavano dentro le provviste, le casse vengono lasciate sul montacarichi sul retro del palazzo di sera e a ritirarle ci sono solo un paio di valletti di cui potremmo avere facilmente ragione”

Strinse forte i pugni, gli piaceva Jake, era simpatico, nonostante la loro missione fosse rischiosa riusciva sempre a ridare il buon umore a tutti.

Presto si sarebbero pentiti anche di questo. Dovevano pagare.

°°°°°

Non riusciva a decidere se era più arrabbiato o sconvolto.

Qualche ora prima nella sala del trono un coro di voci bianche cantava per lui. Era meraviglioso, da molto non sentiva una melodia simile.

Poi era successo qualcosa.

Delle persone con le armi erano entrate nella sala del trono e le donne avevano iniziato a urlare; odiava le urla, avevano interrotto quell’armonia fantastica.

Mentre si guardava attorno cercando qualcuno con cui lamentarsi aveva individuato uno dei consiglieri, quello pelato con le orecchie a sventola, che si avvicinava con due guardie.

“Portate il Veggente nei suoi appartamenti”

“Cosa? Io voglio sentire il concerto” provò a protestare ma fu zittito sbrigativamente.

“Non ora, degli intrusi hanno fatto irruzione, sono pericolosi, portatelo via”

I due lo afferrarono per le braccia sollevandolo quasi di peso e trascinandolo via.

Gli mancò il respiro. Non si ricordava neanche l’ultima volta che qualcuno lo aveva toccato in modo così diretto, i paggi lo aiutavano a vestirsi, ma si trattava di sfioramenti casuali e mai invadenti, per il resto non si ricordava di aver mai avuto contatti con un altro essere umano.

Annaspò a vuoto mentre veniva trasportato di peso nelle sue stanze.

Intorno a lui c’era confusione, gente che correva e strillava, ma lui non sentiva, voleva solo che lo lasciassero.

Infine quando allentarono la presa si rese conto di essere nella sua camera da letto. Si liberò con uno strattone e corse ad avvolgersi nella sua preziosa coperta. Alle sue spalle sentì la porta chiudersi e capì di essere finalmente solo.

°°°°°

Mentre le lacrime scendevano copiose Shannen cercò di farsi strada nel buio.

Qualcosa era andato storto.

***

Quella sera respiravano ossigeno e ansia raccolti a poca distanza dal retro del Castello. Avvolti nei loro abiti scuri sembravano parte delle ombre stesse.

“Shannen” gli sussurrò Violet, una ragazza bionda con una passione spropositata per i dolci “È arrivato un messaggio dalle vedette, il camion dei rifornimenti sta arrivando”

Infatti, poco dopo l’autoveicolo girò l’angolo e fermatosi in prossimità della grata si fermò con un concerto di cigolii metallici. Per qualche tempo ci fu un affaccendarsi di figure scure che spostavano pesanti casse dal veicolo al montacarichi.

Acquattati nell’ombra seguirono tutta l’operazione al ritmo dei loro cuori impazziti.

In qualche modo Cyprian aveva coinvolto uno degli operai nel loro gruppo, il suo compito era lasciare il chiavistello aperto una volta finito il lavoro e una volta tornato a casa lasciare la città per evitare ripercussioni.

Erano pronti a tutto.

Il camion se n’era andato rombando leggermente e dopo un tempo ragionevole erano entrati in azione. Protetti dal buio della notte nessuno li aveva visti avvicinarsi e con il fiato sospeso avevano visto le due pesanti grate scivolare di lato davanti a loro.

“Se volete ripensarci fatelo ora” furono le parole decise di Knight, la ragazza di circa venticinque anni che comandava l’azione.

Nessuno si mosse.

Dopo un momento presero posto fra le casse; secondo le loro informazioni il montacarichi sarebbe salito a mezzanotte.

Attesero acquattati, lanciandosi occhiate d’incoraggiamento.

Il piano di Cyprian era semplice: non sapevano dove poteva essere nascosto il Celes, così una volta entrati i ragazzi avrebbero sopraffatto i paggi facendoli parlare e avrebbero lasciato Violet e Phade, i due più giovani e minuti al loro posto con indosso le loro uniformi.

Cyprian era convinto che non avrebbero incontrato molte guardie, in fondo gli abitanti erano perfettamente in grado di proteggersi con i loro poteri, ma probabilmente il Celes era sorvegliato.

Shannen strinse le dita intorno alla pistola laser.

Non aveva mai sparato a nessuno ma nulla l’avrebbe fermato, avrebbe cambiato il mondo, o sarebbe morto provandoci.

Non potevano sapere cosa li aspettava.

Quando il montacarichi si fermò rimasero un attimo in silenzio attendendo d’individuare i valletti dai rumori, ma i minuti scorrevano e la stanza era del tutto silenziosa. Knight guardò nervosamente l’orologio, poi incrocio lo sguardo di Shannen, avevano avuto modo di parlare diverse volte e si capivano al volo. Il rischio di essere scoperti cresceva ogni secondo di più.

Dovevano andare.

Knight alzò tre dita abbassandole una alla volta lentamente e all’ultimo balzarono i piedi con le pistole puntate.

Non c’era nessuno.

“Cosa facciamo?” Phade, un piccolo ragazzetto di diciassette anni scarsi dagli arruffati capelli castani e i lineamenti femminei, sembrava in preda al panico.

“Attenetevi al piano” il tono di Knight era perentorio “Tu e Violet rimanete qui, preparateci la via di fuga, gli altri con me”

La porta che dava sul corridoio sgusciò di lato con un fruscio lasciandoli tutti sorpresi, in città quel tipo di tecnologia non si vedeva spesso.

“Shannen dividiamoci, prendi metà dei ragazzi e vai a destra, dobbiamo trovare qualcuno che sappia dov’è quella diavoleria. Se hai novità chiama sul walkie-talkie”

Si divisero e Shannen avvertì una punta di nervosismo, non le piaceva affidarsi al caso.

Successe mentre attraversavano in fretta l’incrocio di quattro corridoi, una guardia con l’uniforme azzurrina di palazzo svoltò un angolo e li sorprese. Shannen che chiudeva la fila vide i ragazzi in mezzo all’incrocio buttarsi a terra sotto colpi di arma da fuoco.

Forseti cadde davanti ai suoi occhi e rimase immobile mentre una pozza di sangue si allargava sotto di lui.

Una delle ragazze strillò.

Immediatamente partì un assordante allarme e la pioggia di colpi non cessava.

Erano troppo esposti.

“Dobbiamo completare la missione! Dividetevi! Non fatevi prendere!” urlò ai ragazzi nell’altro corridoio.

Fece dietro front seguita da quei due ragazzi che non erano riusciti a passare come lei.

Imboccarono un paio di svolte casuali, sapeva che si stavano perdendo, ma se non si allontanavano in fretta sarebbero morti tutti.

Poi Miguel che correva davanti si bloccò e il motivo fu presto chiaro a tutti, erano sbucati in una stanza con delle casse accatastate, probabilmente un magazzino.

Ma per loro era solo un vicolo cieco.

Si voltarono immediatamente ma nel corridoio rimbombava già il rumore dei passi in corsa.

Uno dei ragazzi sparò al pannello della porta che si chiuse, non erano salvi ma avevano guadagnato qualche minuto.

“E ora?” a parlare era stato Dimitri, ancora con la pistola alzata.

“Esploriamo le pareti” mormorò Miguel, nessuno lo disse ma sapevano tutti e tre che probabilmente quella stanza sarebbe stata la loro tomba.

Da fuori la porta iniziarono a provenire forti colpi ma avevano ancora del tempo, poi ci fu un forte rumore metallico che la fece voltare di scatto.

Spostando una cassa Miguel aveva trovato un condotto d’areazione dietro una pila di casse e ora teneva la grata alzata con una mano.

Ma sia lui che Dimitri erano molto alti e con le spalle larghe, come contava di passarci?

Poi si sentì sollevare dal suolo e realizzò che volevano fare.

“Lasciami!” non poteva neanche urlare, la porta stava per cedere “Non vi lascerò a morire soli” scalciando come un matto lo dovettero tenere in due per spingerlo nel condotto.

“Devi trovare il Celes, completa la missione” disse Dimitri a fatica cercando di abbassare la grata mentre lui faceva resistenza da dentro, appena toccò la parete, Miguel sparò alla cerniera per bloccarla.

Ormai Shannen piangeva picchiando il metallo senza badare ai tagli che gli si aprivano sulle mani.

“Non potete farmi questo”

“Il mio vero nome è Michel Rowe, quando questa storia sarà finita fai sapere alla mia famiglia ciò che ho fatto” gli sussurrò ancora il ragazzo.

“Io mi chiamo Gabriel Page” disse Miguel spostando le casse a formare una barricata davanti alla porta “I miei genitori sono stati accusati di tradimento e uccisi, quindi non ho nessuno, ma volevo che almeno qualcuno lo sapesse”

“Ma dai ci chiamiamo come gli arcangeli! Chi lo avrebbe detto!” Shannen se li sarebbe ricordati sempre così, Dimitri con quel suo sorriso divertito e Miguel mentre alzava gli occhi al cielo accennando un sorriso.

“Ora vai Shannen e non voltarti” le disse quest’ultimo, mentre la porta dopo uno scossone iniziò lentamente ad aprirsi.

“Sei pronto?” chiese Gabriel puntando l’arma contro Michel.

Anche Michel lo prese sotto tiro e alzò tre dita, poi dopo un sospiro abbassò il primo.

Shannen sapeva che doveva andarsene, ma non riuscì ad allontanarsi e attese ancora un secondo finché non sentì due spari e due tonfi.

Con le guance rigate dalle lacrime iniziò a strisciare all’indietro soffocando i singhiozzi.

***

 

 

Non sapeva quanto tempo era passato quando uscì dal letto. Non sapeva come gestire le sue emozioni, non gli era mai capitato di sentirsi così. Era così sconvolto che gli ci volle un attimo per rendersi conto che aveva le guance umide.

Sorpreso si guardò allo specchio a muro, dell’acqua gli usciva dagli occhi! E non era tutto, le sue guance erano rosse come non le aveva mai viste. Cosa gli stava succedendo? Chi poteva chiamare? Non voleva parlare con i consiglieri e le cameriere non rispondevano alle sue chiamate da ore.

Lui era il Veggente! Come potevano ignorarlo?

Istintivamente tirò su con il naso e si rese conto di avere ancora indosso gli stessi vestiti del giorno prima e i gioielli gli avevano segnato i polsi e il collo.

Non si era mai cambiato da solo, certo sapeva in quale stanza tenevano i suoi abiti però non lo aveva mai sfiorato l’idea di entrarci.

Drizzò la schiena con decisione. Se ci riuscivano i servi poteva farlo anche lui.

Attraversò la sua stanza e il secondo salottino a passo svelto, la porta scorrevole della stanza guardaroba era studiata per confondersi con la parete ma per aprirla bastava poggiare la mano nel punto giusto.

In un attimo si trovò davanti all’apertura buia.

Con il buio aveva un rapporto altalenante, non lo spaventava, ma non gli capitava spesso di trovarsi completamente immerso nell’oscurità, per questo motivi i suoi primi passi all’interno di quel nuovo spazio furono esitanti.

Poi l’ambiente s’illuminò di una pallida luce dorata e lui si riscoprì a lasciare andare il fiato trattenuto involontariamente.

La piccola stanza dove si trovava all’apparenza era un’anticamera da cui si diramavano altri ambienti con le pareti completamente ricoperte dai suoi vestiti. Questa era una sorpresa, passò le mano sulle stoffe preziose cercando di rammendarsi le occasioni in cui li aveva indossati: questo rosso era di una settimana prima durante una cena con persone che non conosceva, questo lilla lo aveva indossato più volte gli piaceva la stoffa leggera e impalpabile che si muoveva ad ogni minimo soffio d’aria, mentre di questo blu scuro non aveva alcun ricordo.

Perso nei ricordi si addentrò nelle stanze più interne osservando sorpreso un sottile strato grigio che sembrava ricoprire ogni cosa: aveva un odore asciutto e veniva via al tocco. Non riusciva a spiegarsi cosa potesse essere.

In una stanza seminascosta trovò alcuni suoi vecchi mantelli ricamati. Gli piacevano molto e per un periodo li aveva indossati in continuazione, forse poteva chiedere al primo consigliere Cesare di acquistarne altri.

Scosse forte la testa, non voleva parlare con il consigliere, non si era preoccupato neanche di mandagli su la cena.

Decise che subito dopo il cambio d’abito, si sarebbe trovato da solo qualcosa da mangiare. Non aveva idea di dove fossero le cucine ma la sua coscienza fu brutalmente zittita dal suo orgoglio ferito.

Con un gesto deciso scostò i mantelli per osservarli più da vicino e si trovò invece a fissare una figura raggomitolata dietro di essi.

Sembrava un ragazzo, un ragazzo diverso da qualunque altro avesse mai visto. Intanto era decisamente sporco, dietro di lui la grata di un condotto di areazione giaceva al suolo, doveva essere strisciato fuori da lì. Proseguì sconcertato ad esaminare il suo abbigliamento e con sorpresa si rese conto che era indossava dei pantaloni! Si era praticamente convinto che non esistessero perché nel palazzo portavano tutti lunghe vesti.

Si aggrappò allo stipite con la mano libera mentre cercava di assorbire quell’immagine.

Poi tutto il suo stupore fu cancellato da un altro dettaglio: anche lui aveva le guance bagnate. Le gote umide brillavano leggermente per la luce alle che filtrava nel piccolo cantuccio dove era addormentato. Lentamente lasciò andare l’infisso per portarsi la mano alla guancia, forse lui avrebbe potuto spiegargli cosa accadeva.

Prese fiato non sapendo bene come procedere ma un richiamo lo precedette:

“Veggente! Veggente dove siete?”

Un giovane servo avvolto in una morbida veste, come era giusto che fosse lo guardava dalla porta con occhi colmi di preoccupazione.

“Veggente cosa ci fate qui?” poi notò la figura sul pavimento “Un intruso!” esclamò e una strana frenesia pervase Celes.

“Tu!” lo apostrofò “Come ti chiami?”

“Langley signore, devo chiamare le guardie, potrebbe essere pericoloso!”

“No! Tu farai quello che ti ordino, sei un mio servo no?”

“Si…signore, ma l’intruso…”

“Non ne parleremo con nessuno, sarà il nostro segreto! Sai medicare le ferite?” il giovane spaurito annuì “Molto bene, prendi il necessario e torna qui!”

°°°°°

Solo nel buio Shannen aveva ricacciato la sensazione soffocante del panico nell’angolino più remoto della sua mente, non gli piacevano i luoghi stretti, gli mancava l’aria e sveniva, ma non se lo poteva permettere. C’era polvere ovunque e faticava a respirare. Non sapeva dove andava, condotto dopo condotto non intravedeva neanche la pallida luce di una grata.

Luce.

Così nitida da sembrare reale, immaginò la luce sulla cima della torre che era stata sua compagna in tante notti solitarie. Prima di rendersene conto stava già strisciando alla ricerca di un condotto verticale.

Fece leva sulle ginocchia, puntellandosi sulla schiena e iniziò a salire. A volte il passaggio s’interrompeva e doveva prendere qualche condotto laterale prima di ricominciare a salire.

Si era tagliato una coscia su una lamiera durante uno di questi passaggi intermedi.

Sanguinava.

Sentiva la carezza calda del sangue lungo il polpaccio.  Non avrebbe resistito ancora a lungo.

Sopra di lui, nella tenebra più fitta, le sue mani incontrarono il metallo nuovamente. Tastò le pareti in cerca di un altro condotto ma non ce n’erano. La gamba iniziava a cedere e non poteva tornare indietro, era salito per un lungo tratto e una caduta da quell’altezza l’avrebbe sicuramente ucciso. Il suo respiro si fece veloce e non riuscì a impedire alle lacrime di uscire nuovamente: non poteva finire così, delle persone erano morte, quella missione doveva cambiare le loro vite non stroncarli.

Scoraggiato poggiò le mani vicino ai piedi cercando di dare sollievo al muscolo leso.

Le sue dita incontrarono una grata. Nella stanza doveva essere buio per questo non l’aveva notata!

Con le sue ultime forze tirò indietro il piede sano e la colpì violentemente, doveva essere vecchia e arrugginita ma non aveva fatto i conti con la sua disperazione. Colpì ancora e ancora. Era così concentrato che quando quello stupido pezzo di ferraglia cedette per poco non cadde uccidendosi davvero.

Infreddolito e dolorante strisciò nell’apertura.

Non era molto lucido.

Sembrava uno spazio piccolo e ingombro di stoffa, ma quasi non ci fece caso. Aveva perso troppo sangue. Raggomitolato perse i sensi senza sapere se si sarebbe risvegliato.

°°°°°

Il primo consigliere Cesare lo aspettava seduto con aria annoiata nel salotto principale. Non era una scena nuova, ma per la prima volta gli diede fastidio. I principi di suoi racconti erano serviti e riveriti, in alcuni casi anche temuti; comandavano i loro regni con giustizia e lungimiranza.

Lui non pensava di dover comandare qualcosa, le cose erano sempre funzionate anche prima del suo arrivo al Castello quindi non sentiva il bisogno d’interferire. Eppure quella mancanza di considerazione d’un tratto lo irritava.

“Veggente!” esordì l’uomo di media altezza con i capelli brizzolati “Cominciavo a perdere le speranze”

“Consigliere” rispose con freddezza, cosa inutile, perché l’uomo si era già rivolto alle due guardie che attendevano vicino alla porta.

“Il vostro compito è sorvegliarlo a vista, non lo può avvicinare nessuno, ho personalmente selezionato un servo che si occupi di lui, tranne lui solo io avrò accesso alle sue stanze, se notate qualunque anomalia vi ho riservato un canale privato con il mio studio” i due uomini gonfiarono il petto ancora di più davanti a quella sequela di direttive, ma non avevano tenuto conto di un piccolo dettaglio.

“Come prego?” stavolta Cesare si rese conto che qualcosa non andava. Voltandosi incontrò gli occhi completamente neri del suo nobile ospite che lo fissavano trucemente “Che vuol dire a vista?”

“Vostra Altezza” doveva rabbonire immediatamente quel ragazzino o rischiava di condannarli tutti “Stanotte c’è stato un attentato alla corona, dei pericolosi ribelli si sono introdotti a palazzo, non possiamo escludere che mirassero proprio a voi, dobbiamo fare quanto è in nostro potere per proteggervi”

Se possibile il suo tono accondiscendente lo infastidì ancora di più. Pericolosi ribelli? Attentato? Se solo avesse saputo che uno di loro stava dormendo nel suo armadio.

“Mi rifiuto di rinunciare alla mia intimità, sarà sufficiente che i vostri uomini sorveglino l’esterno dei miei appartamenti, dopotutto c’è una sola entrata” c’era voluto ogni granello del suo coraggio per mantenere la voce ferma, non si era mai imposto così. La faccia di Cesare valse ogni sforzo, sembrava aver inghiottito un limone, intero, buccia inclusa.

“Io non credo che…” provò a protestare.

“Ho detto fuori di qui!” strillò per la prima volta in vita sua.

Davanti alla ritirata del suo interlocutore rimase impassibile; almeno finché la porta si chiuse, poi lasciò andare l’aria di botto appoggiandosi a un tavolino per non cadere. Una piacevole sensazione si agitava dentro di lui, si sentiva potente, in grado di fare qualunque cosa, era inebriante.

Attraversò di corsa le stanze vuote fino a tornare dal suo piccolo segreto.

Non si era mosso di un millimetro, anzi, dopo un secondo si rese conto che tremava e non era tutto, un brutto taglio gli attraversava una gamba.

Si guardò in torno un po’ sperduto, doveva coprirlo!

Tirò giù alcuni dei suo vecchi mantelli ma non era convinto che quella stoffa leggera potesse scaldarla; la sua adorata coperta era ancora dove gli era caduta lì vicino e senza un attimo di esitazione gliela stese sopra.

Dov’era quel servo? Langley scelse quel momento per rientrare con un vassoio.

“Eccoti! Veloce c’è del sangue!” lo chiamò e il ragazzo si precipitò accanto a lui. Insieme scoprirono delicatamente il ferito; la loro prima preoccupazione fu la feriata alla gamba. La lavarono, pulirono e tremante Langley provvide a ricucirla. Celes pensò che sarebbe svenuto diverse volte ma resistette.

Finite le medicazioni lo spogliarono degli abiti sporchi un po’ per la paura d’inifezioni un po’ per assicurarsi che non avesse altre ferite. Gli fasciarono le mani e Langley gli applicò un unguento su un brutto livido che si stava formando sulla parte sinistra del torace.

Con il passare dei minuti, Celes si convinceva che lo avrebbero salvato!

E poi gli avrebbe chiesto dell’acqua dagli occhi!

Il ragazzo si mosse nel sonno con un piccolo gemito, aveva un po’ di febbre, ma Langley disse che era una normale reazione alle ferite.

Il piccolo servo lo incuriosiva, la sua incertezza era scomparsa nel momento in cui si era messo all’opera, con occhi attenti soppesava le varie ferite scegliendo una boccetta fra quelle che aveva portato con sé. Applicava le bende e si asciugava la fronte con la manica in un unico gesto. Non aveva mai visto nessuno così concentrato, aveva un che d’interessante.

Qualche minuto o qualche ora dopo Celes si trovò a rimirare il suo riflesso in bagno, aveva un aspetto orribile con la faccia stravolta e i capelli scompigliati; aveva appena vomitato la cena e tutt’ora un terribile sapore acido e pungente permaneva sulla sua lingua.

Il ragazzo era ancora nel suo guardaroba, con la gamba fasciata da una preziosa sciarpa di seta e un mantello arrotolato sotto la testa. La ferita non aveva più un aspetto così orribile ora che era chiusa da una stretta cucitura a punto croce.

Nel frattempo Langley gli aveva portato un vassoio di cibo.

“Ho preso qualcosa in più nel caso si svegli” mormorò e Celes gli regalò uno dei suoi rari sorrisi.

“Hai fatto bene! Aiutami a portare queste cose di la!”

Gli ci vollero loro un paio di viaggi per portare tutto ciò che gli serviva nell’armadio.

Ora un suo cuscino aveva sostituito il mantello e il vassoio con la sua cena era appoggiato su un tavolino da caffè che aveva trascinato lì dal salotto.

Non aveva mai lavorato tanto in vita sua, gli facevano male le braccia e si era spezzato un’unghia senza neanch accorgersene.

Ma quando si sedette compostamente dietro il tavolino fu invaso da un’inaspettata ondata di soddisfazione: quella ragazza era viva grazie a lui, era stato lui a nasconderla quando le guardie la cercavano e ora non l’avrebbero mai trovata. L’aveva curato, accudito e nessuno lo aveva scoperto.

ìNon sapeva bene cosa quel ragazzo facesse lì ma lo avrebbe scoperto presto!

 

 

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