Così muore Zarkon Cesar

Cow-t 10, M1, prompt: Historical!AU

Quel giorno si riuniva il senato. Zarkon Cesar si rimirò un’ultima volta apprezzando la finezza della trama della sua tunica. Aveva preso l’abitudine d’indossare il bianco per queste occasioni, era un colore pieno di significato, poco usato per i vestiti dei cittadini che lavorando nelle strade polverose si sporcavano facilmente.
Nella sua semplicità, una tunica bianca significava la possibilità di mantenerla immacolata, sicchè difficilmente il proprietario apparteneva ai quartieri comuni. Dalla finestra della sua carrozza faceva sempre in modo di lasciare uno spiraglio aperto per osservare la vita pulsante di Roma.
Il popolo Galra era indaffarato come sempre nelle vie cittadine. Zarkon Cesar apprezzava particolarmente osservare i suoi sudditi nelle faccende quotidiane, gli piaceva ricordare che quella prosperità era merito suo. Era stata la sua volontà di ferro a mettere su quel gigantesco impero su cui non tramontava mai il sole.
Inoltre vedere i cittadini comuni tendere il collo incuriositi, curiosi di chi potesse fosse in quella carrozza tanto lussuosa, gli provocava non poca soddisfazione.
Lui era un soldato, e come tale abituato ad una vita spartana. Ma dopo un vita di campi di battaglia aveva imparato, se possibile ad apprezzare ancora di più i grandi fasti che poteva permettersi.
In vista del senato chiuse lo spiraglio prendendosi un momento per focalizzarsi. Doveva mantenere un volto impenetrabile davanti ai senatori. Il suo nome era diventato un ideale a cui aspirare e lui doveva assicurarsi di non mostrare un secondo di debolezza.
Mentre si dirigeva al Senato come sempre infiniti supplicanti gli si facevano intorno passandogli biglietti con richieste che girava al suo seguito. Quel giorno il Senato sembrava in fermento piùdel solito. Non fece neanche in tempo a raggiungere il suo seggio che già un gruppetto dei suoi senatori più in vista lo aveva circondato. Spese un secondo a chiedersi perché non si facevano avanti con le loro richieste limitandosi a scambiarsi sguardi in sottecchi l’un l’altro.
“Avanti parlate o retrocedete, che ho affari urgenti di cui occuparmi!” Lì esortò. Anche Marcus Lotus era fra loro ma anche lui non sembrava voler essere il primo a a parlare.
Distratto da suo figlio non si rese conto che il senatore Ulaz gli si era fatto a fronte se non quando questi lo prese per la tunica tirandolo in avanti.
Scandalizzato cercò di spingerlo vi richiamando le guardie ma era già tardi. Una lama lo colpì al fianco. Voltandosi si trovò Lotus davanti il pugnale ancora insanguinato.
Il volto, distorto dall’ira mentre un altro colpo lo colpiva al ventre.
Questa volta era stato il senatore Kolivan a infliggere il fendente.
“Guardie!” Urlò più forte maledicendosi, lui stesso aveva bandito le guardie armate dalle sedute del senato.
Un altro colpo lo ridusse in ginocchio, gocce di sangue macchiavano il marmo dei pavimenti e fiori rossi si allargavano sulla sua tunica.
Cadde in terra in un turbinio di volti più o meno sfocati. Il senatore Thace lo aveva colpito e altri si assiepavano.
“Che siate maledetti!” Urlò. “Con me muore questo impero.” L’ennesima pugnalata penetrò più a fondo nel costato e si sentì mancare. Il mondo si fece sfocato ai margini e via via una cortina nera si chiuse su di lui.

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