Chi mi chiama?

Cow-t 10. M2. SAFE.
Parole: 753.
Prompt: Hiraeth.
Fandom: Originale.
Sinceramente Freddie era di pessimo umore. Brillo vagava nelle strade vuote data la tarda ora. La sua ex si era messa con quel bellimbusto di Dylan, lo stesso che gli aveva fregato il titolo di capitano della squadra di football e la simpatia degli insegnanti. Tutti lo adoravano per una ragione che non riusciva a comprendere, va bene che era più altro, muscoloso, intelligente e gentile di lui. Eppure Freddie non riusciva a spogliarsi dell’idea che ci doveva essere per forza qualcosa di marcio da qualche parte.
Immerso nei suoi pensieri era entrato in quel che rimaneva di un vecchio parco giochi, nell’oscurità della notte lo scheletro del vecchio scivolo si teneva stancamente in piedi pronto a crollare per una ventata troppo forte.
Nero di invidia imprecò mentalmente contro gli spiriti avversi, non sapendo bene con chi altro prendersela. Stavano studiando l’antica gracia e con la mente annebbiata dall’alchol se la prese con quelle poche divinità di cui riusciva a ricordare il nome.
Preso in queste elucubrazioni non riconobbe subito la sensazione di essere osservato; sollevò lentamente gli occhi, Eris gli restituì lo sguardo seduta con la solita disinvoltura su un’altalena dalle catene arrugginite.
Non sapeva neanche come faceva a sapere che era lei, eppure non aveva il minimo dubbio a riguardo.
Si fissarono per qualche minuto mentre lei oscillava lentamente. Nei recessi della sua mente Freddie si chiese come faceva ad andare in giro solo con un corto vestito nero e delle calze verdi fluo in autunno inoltrato, l’unico capo d’abbigliamento vagamente adeguato sembravano gli stivali borchiati, ma probabilmente li aveva messi più per una questione di stile che per una reale necessità; si abbinavano perfettamente ai suoi bracciali e all’immancabile collare.
Senza rendersene conto aveva attraversato il piccolo parco e si era seduto sull’altalena libera.
“Tu sei Eris”
“E tu sei Frederick”
Il ragazzo la guardò sorpreso.
“Sai come mi chiamo?”
“Mi hai appena rivolto dei pensieri molto poco carini, certo che loso.” Gli sorrise beffarda.
“Riesci a sentire quello che pesno?”
“Sono una dea, tu mi hai evocato, è l’equivalente di telefonare a cqualcuno e urlargli nella cornetta.”
Freddie si guardò intorno preoccupato, ma lei rispose anche a qesta preoccupazione inespressa.
“Non sarai fulminato da lui tranquillo, di questi tempi raramente ci manifestiamo ai mortali.”
“Ma tu sei qui.”
“Mi annoiavo e poi volevo capire che ti o fatto di male con esattezza.”
“È finito che leggi I miei pensieri?”
“So cosa è successo, non capisco perchè mi ritieni responsabile.”
“Tu sei la dea dell’invidia! Perchè m’impedisci di levarmi Dylan dalla testa.”
“Caro, c’entro molto poco con il tuo complesso d’inferiorità.”
“Ma tu da che parte stai?” sbottò lui “Credevo che il tuo obiettivo fosse far litigare le persone, di chi altri può essere la colpa? Sei tu che mi fai invidare gli altri e mi hai reso morboso finché la mia ragazza mi ha lasciato! Te l’hanno mai detto che sei strana?” Freddie era saltato in piedi e ora urlava a pieni polmoni con i pugni stretti lungo i fianchi, la fragilità e il freddo di neanche dieci minuti prima erano un ricordo lontano, sentiva solo il sangue pulsargli nelle vene e le guance bruciare di vergogna.
Lei lo guardò per tutta la tirata con occhi sgranati per scoppiargli a ridere in faccia, accasciata sull’altalena aggrappandosi alla catena con una mano per non cadere e tenendosi un fianco con l’altra: “Erano secoli che non ridevo così” riuscì a dire fra le lacrime, e Freddie si trovò a crederle mentre l’osservava cercare di riprendere fiato e ricominciare a più riprese.
Quando infine si calmò si era riseduto sulla sua altalena con aria rassegnata.
“Mio caro Freddie credo che tu abbia frainteso il mio ruolo” disse ancora con il fiatone, “tu sei invidioso, di conseguenza ricadi nella mia giurisdizione. Non il contrario. Non ho alcun bisogno di spingere gli umani a invidiare gli altri, è una delle loro attività prinicpali, raramente si trova un umano soddisfatto di ciò che ha. Ma addossare la colpa a una qualche entità superiore anche è un tratto umano. Fortuna tua che le vedette creative sono fuori moda da quasi duemila anni, ora vado; sarà meglio che ti svegli.”
Freddie si riscosse svegliandosi. Era appoggiato in avanti con la faccia contro la catena dell’altalena, probabilmente gli aveva lasciato il segno sulla guancia a giudicare da come gli faceva male la mascella.
Era stato un sogno o era avventuto realmente. Confuso e infreddolito si avviò verso casa sotto lo sguardo ermetico di due occhi verdi come l’invida.

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