Bere responsabilmente

Bere Responsabilmente

Il grande e famoso guerriero mercenario Hildebrandus agguantò il bicchiere di vino di fuoco fra le acclamazioni dei presenti, lo innalzò al soffitto e lo scolò in un solo colpo gettando la testa all’indietro.

Rivoletti di vino, rossi come il sangue, gli scorrevano sul collo ma sembrava non importargli. Con un suono inarticolato sbatté il bicchiere sul tavolo per poi alzare le braccia e raccogliere le ovazioni del pubblico.

“Vi arrendete?” ringhiò ai suoi avversari.

“Giammai!” rispose l’elfo gettando i capelli biondi oltre la spalla con un movimento roteatorio che per poco non lo fece cadere dalla sedia “In nome del clan Olasatra, io Eldar Olasatra, terrò alto il nome degli Olasatra imperciocché della superiorità della razza…” si fermo con aria confusa “Quante volte ho detto Olasatra?”

“Bevi Ostracoso qui c’è una gara in corso!” il nano gli spinse un bicchiere di Idromele fatato in mano e l’elfo lo trangugiò ignorando la storpiatura sul nome del suo nobile clan, probabilmente avrebbe dovuto arrabbiarsi ma non era sicuro del perché.

“Idromele…” rifletté ad alta voce “Perché si chiama idromele? È fatto con il miele non con le mele”

“Non ci avevo mai pensato” convenne Hildebrandus fissando un punto qualche centimetro a destra di Eldar “Il cedro è fatto con le mele”

“Il cedro non era un albero?” chiese l’elfo “Non ha molto senso…” si guardarono confusi.

“BIRRA!” tuonò il nano, per poi scoprire che ne aveva già un boccale davanti, lo afferrò versando buona parte del contenuto sul tavolo e centrando a malapena la bocca con il resto. S’intuiva a malapena il colore rossiccio della sua barba sotto lo strato di schiuma che la ricopriva, ma non sembrava essersene accorto.

“SIDRO!” esclamò Eldar.

“Cambiare liquore non vale!” lo rimbeccò il nano “L’ho detto all’inizio di scegliere cosa bere, sono sicuro che l’ho detto” si voltò verso Hildebrandus “L’ho detto?”

“Si lo hai detto” il guerriero gli sorrise con il mento appoggiato su una mano e gli occhi socchiusi, pendeva un po’ di lato e il suo sgabello a tratti mandava preoccupanti cigolii.

“Visto!” disse il nano rivolto all’elfo “L’ho detto!”

“Ma no, il sidro è il coso con le mele!”

Si sentì un tonfo, Hildebrandus aveva perso contro la forza di gravità ed era sparito sotto il tavolo. Ci fu un secondo di silenzio prima che la voce del barbaro riemergesse da sotto il tavolo.

“Tu sei una mela!” biascicò.

Le guardie di palazzo scelsero quel momento per entrare.

“Per fortuna siete arrivati!” l’oste andò loro incontro agitando uno straccio che probabilmente non aveva mai visto una lavata.

L’ufficiale evitò il pezzo di stoffa per un soffio, la tradizione voleva le divise dei capitani totalmente immacolate e ci teneva a mantenerla così; lo avevano promosso da poco e sentiva di aver molto da dimostrare.

“Ci è arrivata una segnalazione per ubriachezze moleste, cosa succede?” spinse il petto in fuori squadrando i presenti che si ritrassero al suo sguardo inquisitorio. Segretamente adorava quell’espressione che le persone assumevano davanti a  lui, come se tutti sapessero di essere colpevoli di qualcosa e si chiedessero se era venuto per loro.

“Guardi da solo!” lo straccio compié un’orbita circolare seguendo il braccio dell’ometto sovrappeso, diversi avventori si ritrassero inorriditi.

Al centro della taverna un nano e un elfo seduti sui talloni osservavano un uomo che russava della grossa sotto un tavolo.

“Non è in grado di continuare ha perso!” sentenziò il nano.

“Impressionante! Ho incontrato draghi meno rumorosi!” l’elfo sembrava sinceramente ammirato.

Il capitano si morse l’interno della guancia per trattenere un sorriso; non poteva credere alla sua fortuna, già immaginava quello che avrebbe potuto scrivere nel rapporto:

Durante il mio primo giorno di servizio in veste di Capitano, pattugliavo le strade quando è stata portata alla mia attenzione un potenziale incidente diplomatico che vedeva coinvolte ben tre razze…

“Capitano!” l’oste lo guardava con disappunto.

Dannazione doveva essersi distratto!

“Portateli via!” sbraitò.

I suoi uomini accerchiarono il terzetto e il nano sembrò poco felice della cosa.

“Come osate” si alzò in piedi di scatto al colmo dell’indignazione, il movimento brusco gli causò un capogiro che lo costrinse ad aggrapparsi al tavolo “Io sono…” corrugò la fronte.

“Hazzan Granitebuckle” gli suggerì Eldar che adesso aveva appoggiato la schiena a una delle gambe del tavolo, non sembrava passarsela bene, aveva assunto una sfumatura verde, anche più del solito.

“Impossibile! Ma che razza di nome è?”

“Basta!” strillò il capitano stufo di essere ignorato “Portateli via!” due uomini trascinarono via il nano che aveva rinunciato alla lingua degli uomini e urlava in nanico.

Quattro reclute in qualche modo riuscirono a tirare su Hildebrandus e lo stavano portando fuori in una sinfonia di sbuffi.

Era rimasto solo l’elfo che nel frattempo si era coperto gli occhi con un braccio.

Il capitano aveva una profonda ammirazione per quella razza.

“La prego di seguirmi” disse impostando la voce “Sono sicuro che è un malinteso ma non posso lasciarla andare”

“Ma certo” il nobile elfo accettò l’aiuto ad alzarsi, quelle creature avevano una grazia innata.

“Oddio…” Eldar si chinò in avanti e rovesciò il contenuto del suo stomaco sulla candida divisa del povero ufficiale.

°°°°°

Hildebrandus si svegliò con un raggio di sole che gli picchiava sul viso, infastidito si voltò di lato e cadde a terra con un frastuono metallico.

Lanciò un gemito incongruente; aveva dormito con l’armatura! Non poteva essere così ubbriaco. Aprì gli occhi con uno sforzo titanico e dopo qualche minuto di figure sfocate si rese conto che stava osservando un paio di gambe; o meglio, probabilmente c’erano delle gambe avvolte in quella tunica di finissima seta blu a motivi arabescati. Che ci fossero o meno non si vedevano, ma la punta di un piede faceva capolino sotto l’orlo. Un piede che sembrava intento a battere indispettito sul pavimento.

Hildebrandus improvvisamente si rese conto che qualcuno gli stava parlando.

“Sto parlando con lei!” disse per l’appunto la voce misteriosa. Una breve ispezione verso l’alto lo informò che apparteneva al proprietario del suddetto piede (e delle probabili gambe).

Era un uomo, un giovane, con una barba rada che gli cresceva sotto gli zigomi e sul mento, aveva una quantità impressionante di monili in argento appesa al collo, che con il riverbero del sole brillavano troppo per gli occhi stanchi di Hildebrandus.

“Come?”

“Ho detto che il re vuole vederla, si alzi immediatamente!”

Girò su sé stesso tintinnando e marciò fuori.

°°°°°

In qualche modo Hildebrandus riuscì a seguirlo attraverso gli sfarzosi corridoi, durante il tragitto cercò disperatamente di ricordarsi in quale regno si trovava, quella parte del continente era cosparsa di minuscoli stati, ognuno convinto di discendere dal grande re conquistatore e dopo averne girati un paio sembravano tutti uguali.

Fortunatamente il ragazzo in blu lo tolse d’impiccio:

“Grande e potente re Rogelin di Tholy!” declamò entrando nella sala del trono “Vi presento Hildebrandus il più grande eroe della razza degli uomini.

L’eroe in questione si guardò intorno a disagio, era un eroe senza dubbio ma c’erano grossi inconvenienti quando le persone iniziavano a dire che eri ‘il più grande eroe’ per esempio tutti quegli eroi meno grandi che pensavano di doverti sconfiggere per conquistarsi il titolo. Non ci teneva particolarmente ad essere ritenuto il migliore, gli stava bene anche essere un eroe generico.

Nel suo vagare, il suo sguardo incontro altre due paia d’occhi altrettanto annebbiate. Eldar e Hazzar lo guardavano in sottecchi in piedi di fronte al sovrano, sembravano allarmati per qualche motivo.

Seguì la sua guida fino ad allinearsi ai suoi compagni di bagordi e inarcò un sopracciglio interrogativo. I due lanciarono un paio di occhiate al trono facendo strane smorfie ma questo non aiutò Hildebrandus a capire la ragione della loro ansia.

Decise di concentrarsi sul sovrano, magari lui gli avrebbe chiarito qualche dubbio.

Re Rogelin era un omino tondo. Come se fosse indeciso in che direzione espandersi. La pancia era a mala pena rimboccata nel farsetto e il sontuoso mantello di velluto, evidentemente troppo grande per lui, gli dava un aspetto ancora più tozzo. La corona si reggeva in bilico sulla pelata scivolando di quando in quando prima che una mano grassottella la rimettesse dritta.

“Hildebrandus!” esclamò il sovrano, la sua vocina stridula gli penetrò il cervello con la delicatezza di un ago arroventato. Un gemito alla sua sinistra gli comunicò che anche Hazzar non aveva gradito. Eldar in qualche modo mantenne una maschera imperturbabile.

“Voi tre siete come una benedizione caduta dal cielo” il povero guerriero inclinò la testa di lato, in quel momento non si sentiva molto ‘benedetto’; quanto a essere caduto: almeno due volte dalla sera prima.

“Signori e signori” continuò il re alzandosi, il che non cambiò molto. Nel resto del salone diversi nobili che Hildebrandus aveva deciso d’ingnorare in un primo momento si voltarono verso il trono.

L’atmosfera era carica di aspettativa e il guerriero iniziò a pensare che gli sfuggisse qualche dettaglio importante.

“Ecco a voi Elderan del clan Olasatra, Hazzar Granitebuckle del popolo nanico e Hildebrandus! Eroe degli uomini” si alzò un applauso dalla folla e l’eroe accennò un sorriso, non stava andando male.

“Gli eroi che si sono offerti volontari per riportare a casa il tesoro perduto! L’inestimabile rubino di fuoco!” spalancò le braccia con un sorriso a trentadue denti.

La folla lo fissò in attesa.

E lui rimase con le braccia spalancate sorridente.

E la principessa Ruby” mormorò il giovanotto tintinnante.

“E la principessa Ruby!” aggiunse il re guadagnandosi urla entusiaste. Qualcuno in modo molto poco composto fischiava come si fa alle capre, un tizio in prima fila applaudiva addirittura con le lacrime agli occhi.

Hildebrandus si voltò talmente in fretta che i muscoli del collo, ancora indolenziti per la nottata, gli mandarono una fitta in protesta. Il nano lo guardava rassegnato e l’elfo si era coperto gli occhi con una mano.

-Oh, ecco di cosa mi volevano avvertire-

°°°°°

“Com’è successo?” rantolò Eldar.

“Non lo so!” rispose Hildebrandus.

“Non è possibile!” gemette Hazzar.

Sedevano intorno ad un basso tavolino da caffè intarsiato d’oro.

Vuvrosh, il così detto ragazzo tintinnante, li fissava con aria di superiorità. Quei tre barbari si erano gettati su i tre divanetti importati senza il minimo riguardo. Adesso offrivano un penoso spettacolo con i gomiti sulle ginocchia e la testa fra le mani.

Quelli, in teoria, erano tre dei più grandi guerrieri in circolazione.

Erano spacciati.

Il re fece il suo ingresso a testa alta trascinandosi dietro l’ingombrante mantello. Vuvrosh gli aveva cercato di suggerire mille volte che forse l’indumento avrebbe avuto bisogno di una lieve aggiustatina, ma era stato tutto inutile, re Rogelin era convinto che un grosso mantello volesse dire un aspetto regale, e così maltrattava il povero mantello di suo padre: il compianto re Rivat. Quello si che era un re! Anche in tarda età era rispettato e temuto ben oltre i confini del loro piccolo regno, sfortunatamente il figlio non aveva ereditato né il suo aspetto imponente né tanto meno la sua attitudine a comandare.

Per questo la principessa Ruby doveva tornare il prima possibile!

“Miei prodi” stava dicendo intento l’insulso sovrano, anche in piedi a mala pena riusciva a guardare in faccia Hildebrandus seduto.

L’umano aveva alzato gli occhi, ancora arrossati dalla sbronza e lo guardava vacuo.

“Sono venuto a elargirvi la mia benedizione!”

Vuvrosh alzò gli occhi al cielo.

“Magari i signori gradirebbero un breve riassunto sulla natura della missione” suggerì al piccolo sovrano.

Il re lo guardò sorridendo tronfio:

“Certamente! Dovete recarvi nelle terre del malvagio re degli orchi…”

“Drazagork” disse Vuvrosh.

“Drazagork!” ripeté Rogelin “E recuperare il gioiello più prezioso che sia mai esistito, il rubino di fuoco che secoli fa è caduto dal cielo, secondo la legenda, il nostro illustre antenato ha costruito questo castello proprio dove ha colpito il suolo”

O meglio, tre generazioni fa un barbaro invasore ha depredato la tribù di nativi che lo venerava come oggetto sacro, sterminandoli e proclamandosi re– pensò Vuvrosh.

“Dica loro della principessa”

Il re annuì mesto.

“Vedete, mia figlia…non è proprio una principessa normale, qualche mese fa ha deciso che avrebbe recuperato da sola il rubino ed è partita di nascosto, le ultime notizie dicono che l’hanno vista addentrarsi nel regno degli orchi e non si è saputo più nulla da allora, se la incontraste durante la vostra missione e riusciste a ricondurla a casa sarebbe fantastico…”

“Dovete riportarla a casa!” sentenziò Vuvrosh a limite della sopportazione.

“Giusto! Dovete riportarla a casa!” ripeté a pappagallo il sovrano “Ruby è la nostra principessa è importantissima per noi” annuì soddisfattissimo del suo discorso senza notare gli sguardi sperduti di quei poveri malcapitati.

“Mi scusi…” Hildebrandus provò a prendere la parola ma il re non aveva ancora finito.

“Ovviamente non avete scelta, adesso che vi siete offerti volontari se vi tirate indietro Vuvrosh, il mio mago di corte, vi maledirà” i tre lo guardarono basiti.

“E verrà con voi!”

Vuvrosh che annuiva passivamente si risvegliò a queste parole.

“Cosa?!”

Il re si voltò a guardarlo con un sorriso enorme: “È un’idea che mi è venuta stanotte, non è geniale? Tu proponevi di maledirli dopo un mese se non tornavano ma ci sono troppe incognite: e se disertano prima di un mese? E se ci vuole più di un mese? E come faccio io a sapere che la maledizione li ha colpiti? Invece così è perfetto!”

“Ma maestà…”

“Perfetto! Sapevo che l’idea ti sarebbe piaciuta, preparati che partite fra un’ora!” detto questo il re se ne andò trascinando il pesante mantello lasciandosi alle spalle quattro persone sconvolte.

 

 

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