Ashikaga no chawan

Con questa storia iniziamo il cow-t. Scritta per m1 con il prompt:

“Sometimes good things fall apart so better things can fall together. Every story has an end, but in life, every end is just a new beginning.” (Anonimo)

Era stata una pessima giornata per Ashikaga.
Uno potrebbe pensare che la vita di uno shogun sia emozionante, ma sfortunatamente le gloriose vittorie in battaglia e i festeggiamenti occupavano una minima parte del suo tempo.
La maggior parte delle sue giornate era piena di burocrazia, riunioni strategiche e tediose facende diplomatiche.
Lui era un guerriero. Fatto per la semplice vita militare. Ricordava con nostalgia i giorni del suo addestramento, dove ogni alba sorgeva all’insegna della rigida disciplina, duro allenamento e meditazione.
Era il tipo d’uomo che trovava gioia nelle cose semplici e la lussuosa vita di palazzo non lo aveva cambiato in questo senso.
Eppure giorni così gli facevano dimenticare le motivazioni che lo avevano portato lì.
In primo luogo pioveva. Il che aveva causato un ritardo allo spostamento delle sue truppe verso le terre di un daimyo ostile. I rapporti dicevano che il terreno, trasformatosi in fango, rendeva quasi impossibile avanzare con i carri dei rifornimenti e che c’erano state diverse diserzioni.
I generali del suo seguito sembravano più preoccupati di come accrescere il loro prestigio che della scarza disciplina nelle loro fila e sua moglie era di nuovo adirata per un motivo ignoto.
Il che gli lasciava ben poco di cui gioire.
Aveva aspettato con ansia tutta la giornata per chiudersi nei suoi alloggi e gustare una tazza di tè. Sebbene potesse approfittare delle più ricercate varietà disponibili sull’isola la sua preferenza ricadeva immancabilmente su un semplice tè di fiori facilmente reperibile.
Era delicato sia nella fragranza che nel colore e ben si accompagnava ai momenti tranquilli che si ritagliava seduto vicino alla finestra con la sua tazza preferita.
Anche questa non era un oggetto di particolare valore. Veniva dalla Cina, un dono di un mercante ossequioso, era di un pallido color verde che sfumava verso tonalità più scure sul fondo del bicchiere. Non aveva proprio niente di speciale.
Però la forma irregolare si adattava perfettamente al suo palmo ed era della grandezza perfetta per la giusta quantità di tè che regolarmente assumeva.
Il che spiegava, più o meno, perchè stava puntando la spada alla gola di una povera cameriera in lacrime.
In realtà forse la sua reazione era un pelino esagerata.
Ne era ben consapevole.
C’era stato un tuono improvviso e la ragazza era sobbalzata, non solo rovesciandogli addosso il suo tè ma anche facendo cadere in terra la tazza che ora giaceva in pezzi.
Si costrinse a calmarsi, rinfoderò la spada valutando la situazione.
Un’altra ancella accorse con uno straccio raccogliendo i cocci sparsi in terra e la colpevole venne portata via.
“Faccio portare un’altra tazza mio signore.” Disse un ossequioso eunuco ma Ashikaga sollevò una mano per fermarlo.
Il suo sguardo era fisso sui miserevoli cocci e il suo cervello lavorava a velocità elevata.
“Chiamami un messaggero!” Comandò imperioso.

“Hai sentito che il messaggero è ritornato?” Chiese sottovoce uno scriba ad un altro.
“Con la tazza? Si ho sentito, non riesco a credere che lo shogun abbia mandato una tazzina qualunque fino in Cina per essere riparata.” I due parlottavano tenendo vicine le teste e non notarono la figura alla loro spalle.
“Signori.” Salutò Ashikaga in persona facendoli sobbalzare, “che infausto giorno è per il nostro paese se due scolari come voi non hanno nulla di meglio da fae che abbandonarsi alla diffusione di pettegolezzi.”
I due erano prostrati in terra e tremavano come due foglie.
Ashikaga era nuovamente infuriato e la tentazione di sfogarsi sui due era forte. Ma per quel giorno aveva già dato abbastanza di che parlare ai suoi cortigiani li lasciò andare.
La sua tazza era tornata riparata…in modo orribile. Venature di metallo mal saldate tenevano insieme i pezzi di quella che un tempo era una delicata tazza e ora sembrava niente più che un’accozzaglia di pezzi fissati male.
“Mio signore?”
La sua furia mal repressa si spostò su un attendente. Dietro di lui un cortigiano trattenne rumorosamente il respiro sconvolto ma il lord lo ignorò. Preferiva un uomo che non avesse paura di rivolgergli la parola a quello stuolo di smidollati che era la sua corte.
“Parla!”
“Conosco qualcuno che potrebbe sistemare la tazza. Non posso assicurare che risolverà il problema, ma provare non costa nulla.”
Ashikaga soppesò le sue parole. Le opzioni erano poche, poteva usare la tazza così com’era ma era più incline a buttarla a questo punto. Un tentativo non gli avrebbe fatto differenza.
“Molto bene,” porse la tazza all’attendente che l’accettò chinando il capo. “Se sarò soddisfatto saprò ricompensarti.”

Nei lunghi giorni dalla rottura della sua tazza aveva usato un’altra, color pesca, era leggermente più grande e doveva compensare il peso con il mignolo; era una sciocchezza ma la questione era diventata una tale seccatura che persino quel dettaglio gli dava fastidio.
Il giorno che l’attendente rientrò nella sua corte con un uomo anziano quasi tirò un sospiro di sollievo. Nel bene e nel male quella storia si sarebbe risolta quel giorno.
“Mio signore,” iniziò il ragazzo. “Lasci che le presenti il maestro Tsuji,la persona di cui vi ho parlato.”
S’inchinò nel modo veloce e marziale tipico dei militari e lasciòla scena all’omino.
I suoi lunghi capelli erano grigi e raccontli nella tradizionale acconciatura giapponese. Gli anni avevano piegato la sua schiena ma non era incerto nei passi e non sembrava intimidito nel trovarsi al cospetto della corte dello shogun.
Ashikaga accettò la sua presenza chinandò leggermente il capo.
Era sempre stato convinto che puoi anche diventare lo shogun, ma nel momento in cui ti dimentichi di portare rispetto agli anziani non sei meglio di un qualunque barbaro.
“Maestro Tsuji, la vostra presenza mi onora, sono consapevole che potete aver trovato il mio attaccamento frivolo, ma vi ringrazio comunque per il tempo che vi avete dedicato.”
“Lord Ashikaga, non c’è nulla di frivolo nel rispettare gli oggetti che ci hanno servito per molti anni, per quanto semplici essi siano.”
Dicendo queste parole si inginocchiò lentamente portando davanti a se il fagotto che aveva con se.
Ashikaga si scoprì a chinarsi in avanti seguendo i suoi gesti misurati.
L’oggetto che tirò fuori suscitò un’ondata di mormorii.
Lo shogun sorpreso tese una mano e l’attendente si precipito a consegnarglielo.
Era la sua tazza indubbiamente.
Ma ora le maldestre saldature erano coperte da vene dorate che rendevano la superficie compatta e piacevole.
Non solo.
La semplice tazzina era diventata un oggetto incantevole. C’era qualcosa di così ineffabile nel riparare un oggetto semplice e di poco valore con dell’oro che lo shogun rimase senza parole.
“Maestro,” disse infine, “non riconosco questa tecnica qual è il suo nome.”
“Non ha nome mio signore, non ho conoscenza di altri casi in cui è stato usato un simile espediente.” L’uomo teneva gli occhi umilmente chinanti in terra ma la sua voce era ferma, “Siete soddisfatto?”
“Più che soddisfatto, dichiaro che da oggi questa tecnica sarà chiamata kintsuji. Ho inoltre il desiderio che tu sia nominato artigiano di corte; quanto a te.” I suoi occhi si spostarono sull’attendente, “scegli la tua ricompensa e l’avrai.”
“Mio signore non desidero altro che servirvi.”
“E sia. Da oggi in avanti sarai membro della mia guardia personale e sarai addestrato come tale!”

Le sue decisioni avevano gettato la capitale in subbuglio, le famiglie nobili erano impazzite per procurasi oggetti ispirati a questa nuova moda.
Seduto sulla sua veranda Ashikaga sorseggiava il suo tè cullando la sensazione di profonda soddisfazione che gli dava la bellezza delle piccole cose. Tra le sue mani una delicata tazza verde venata in oro.

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